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Ecco la piattaforma che costringe l’artista ad adeguarsi ai dettami dei suoi fan

Simonetta Sciandivasci

Un nuovo strumento per ossequiare il volere sacro del pubblico. Così le canzoni diventano romanzi collettivi, e gli artisti la sommatoria dei gusti delle proprie community

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Un articolo dell’Economist di questa settimana titola, entusiasta: “Believe mette il potere nelle mani degli artisti”. E noi che gli artisti, e tutti quelli che con loro e per loro lavorano, li davamo per spacciati, finiti, gettati sul lastrico dalla pandemia, costretti a reinventarsi rider. Allocchi novecenteschi che siamo. Believe aiuta i musicisti a sfruttare al meglio le chance che offrono le piattaforme online: distribuzione, performance digitali, monitoraggio del successo o dell’insuccesso di un brano e suo conseguente perfezionamento. La usano 850 mila professionisti (inclusa Björk). Esiste dal 2004, ha la sua casa madre in Francia, è presente in 45 paesi, ha 1.200 dipendenti e altri 300 ne assumerà entro la fine dell’anno. E sta qui il prodigio, dal momento che di aziende che abbiano fatto affari con la musica in questo catastrofico 2020 ce ne sono state poche. Un prodigio spiegabile: B. lavora con YouTube, che in questi mesi è stata la piattaforma che meglio e più delle altre ha consentito l’interazione tra pubblico e musicisti, sperimentando nuove modalità – i concerti in streaming con il pubblico che, da casa, poteva inviare sticker, emoticon e tutta una serie più o meno intristente di surrogati di applausi, cori, salti, effusioni e su e giù da un palco.

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Un articolo dell’Economist di questa settimana titola, entusiasta: “Believe mette il potere nelle mani degli artisti”. E noi che gli artisti, e tutti quelli che con loro e per loro lavorano, li davamo per spacciati, finiti, gettati sul lastrico dalla pandemia, costretti a reinventarsi rider. Allocchi novecenteschi che siamo. Believe aiuta i musicisti a sfruttare al meglio le chance che offrono le piattaforme online: distribuzione, performance digitali, monitoraggio del successo o dell’insuccesso di un brano e suo conseguente perfezionamento. La usano 850 mila professionisti (inclusa Björk). Esiste dal 2004, ha la sua casa madre in Francia, è presente in 45 paesi, ha 1.200 dipendenti e altri 300 ne assumerà entro la fine dell’anno. E sta qui il prodigio, dal momento che di aziende che abbiano fatto affari con la musica in questo catastrofico 2020 ce ne sono state poche. Un prodigio spiegabile: B. lavora con YouTube, che in questi mesi è stata la piattaforma che meglio e più delle altre ha consentito l’interazione tra pubblico e musicisti, sperimentando nuove modalità – i concerti in streaming con il pubblico che, da casa, poteva inviare sticker, emoticon e tutta una serie più o meno intristente di surrogati di applausi, cori, salti, effusioni e su e giù da un palco.

 

Scrive l’Economist che il “modello di trasparenza” di Believe dà nuova vita a vecchi successi e, soprattutto, sta allevando una generazione di artisti. Questo modello si basa su un’attenta analisi dell’impatto che produce un qualsiasi prodotto che un artista condivide su YouTube o su un social network e, in seconda battuta, sull’adeguamento al quell’impatto. Se una canzone scritta di getto e strimpellata sul divano non piace alla propria community, o la si depenna o la si cambia ascoltando il parere di chi è collegato. Niente di inedito: il pubblico si ritiene all’altezza di dare un parere condizionante su un’opera d’arte da sempre. Da prima di Twitter siamo tutti l’imperatore d’Austria, il quale, in “Amadeus” di Miloš Forman. dice a Mozart che “Le nozze di Figaro” ha “un po’ troppe note” e gli consiglia di toglierne. Nessuno, però, è Mozart, che all’imperatore risponde: “Vuole dirmi quali, Eccellenza?”. Anzi. Noi eseguiamo gli ordini, li chiamiamo engagement: il pubblico dice rosa, e rosa è, il pubblico vuole autotune, e in autotune si fa. Sperimentare sì, ma nei limiti del piacere e dispiacere dell’uditorio. Così le canzoni diventano romanzi collettivi, e gli artisti la sommatoria dei gusti delle proprie community: algoritmi primari. La trasparenza che Believe insegna a un musicista consiste nell’attenersi al dettame del suo fan. Bowie avrebbe mai scritto “Space Oddity” se avesse dovuto badare ai commenti di adolescenti in lockdown? In questa sconfortante preview della musica che verrà, e ricordando che “X Factor” quest’anno fa fuori i concorrenti che raggranellano meno stream su Spotify, di buono c’è che Believe corrisponde agli artisti la maggior parte dei diritti che spettano loro, così che “restino padroni delle loro scelte”. Se di scelte è il caso di parlare.

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