L'intervista della domenica

Effetto Domina.

Simonetta Sciandivasci

Se telefonando, X Factor, il talento, dieci anni di carriera, le verduraie, Mina, la cucina, il pragmatismo. Conversazione con Emma Marrone.

C’è una canzone di Lucio Battisti che un po’ la descrive, e ancora di più descrive quello che suscita in chi l'ascolta e la guarda. Parla di un amore per una succosa e testarda ragazza di provincia (un "frutto di campagna"!), un amore selvatico che un po' lo imbarazza perché lo riporta alla vita così com’è, alla "allegra coscienza", e polverizza strutture, sovrastrutture e raffinatezze, un amore giovane e diretto, pane al pane e vino al vino. 

Emma Marrone questo è, una ragazza di provincia, fattiva ed emotiva. Chiara e decisa. Dritta, dice lei andando dritta. Una che s'appassiona, sa dire "mi sei arrivato" e "hai fatto un percorso" senza arrossire, sa dire le cose banali quando sono le uniche cose da dire (spesso, Inshallah). “Bella forte e sana, spaventata solo dagli aeroporti”, dice Battisti dell’amore suo nato in provincia, che gli riaccende il desiderio, la voglia di prendere tutto come viene, di giocare, baciare, spogliare. In dieci anni di carriera, Emma ha cantato la felicità facile e carnale, solida, quella che per godertela devi essere disposto a cadere. "Ho sempre voglia di farmi male con te", "Mi piace di più stare addosso a te e se si deve andare giù, andiamo giù". 

Lei degli aeroporti non ha paura, e nemmeno dei giudizi, e nemmeno di esagerare, di essere troppo emotiva, sentimentale, popolare. Quest’anno fa il giudice di X Factor  (su Sky Italia, ogni giovedì sera) e valuta tutto: la tenuta sul palco, la tenuta artistica, professionale, comunicativa, la prospettiva discografica, radiofonica, televisiva. Manuel Agnelli è lì a fare il barricadiero, a straparlare di rivoluzione, e lei tiene i piedi per terra.

Non riesco a resisterle, mai. Nemmeno quando sembra premiare le lacrime più del talento e l’emozione più dell’espressione. Quando fa trionfare il vissuto, "la verità", "la tua storia". Alla fine, le do ragione. Alla fine, mi fido.

La chiamo, mi parla come se ad accomodarmi dovessi essere io e non lei: è ospitale, generosa. Dice spesso “ci mancherebbe”, “a disposizione”, “pronti!”, “grazie”. Ringraziare è un dovere che ha detto spesso di amare. 

Ha addosso un 2020 difficile, come tutti. Avrebbe dovuto fare un tour per i dieci anni di carriera e invece non ha potuto. Per la terza volta è finita in ospedale per curare un cancro e lo ha sconfitto.

 

  

Quest’anno, l’edizione di X Factor racconta come lo streaming sia diventato il palco più importante per un musicista, e quanto conti la costruzione del personaggio e della performance, la versatilità del talento. Giovedì sera, quando ha eliminato una concorrente che aveva molto a cuore, Cmqmartina, ha detto: lo faccio per ragioni non artistiche. Ho pensato: che palle, ma dove siamo? 

 

È impreciso, ti devo correggere. Ho parlato di fragilità artistica: gli inediti, la maturità vocale, la capacità di stare sul palco di Cmqmartina non mi sono sembrati ancora sufficienti per affrontare quello che verrà. Lei mi piace moltissimo, sono certa che farà tanto e lo farà bene, ma in quel programma difficilmente avrebbe avuto ancora da dare. Ne abbiamo parlato, ne è convinta anche lei. Le ragazze più giovani quest'anno sono molto consapevoli, serie. Mi pare che abbiano capito piuttosto bene che giudicare un artista, oggi, significa tenere conto di tutto: guardare come si posiziona in una classifica di Spotify, quanto funziona in radio, quanto piace alle persone, che sensibilità ha, quanto è capace di mettersi a nudo, di essere credibile. Almeno, io così penso e così faccio. L'aspetto umano è importante quanto gli altri: valuto chi ho davanti a 360 gradi. 

Davvero la credibilità conta quanto il talento?

Sono due componenti che lavorano in sinergia.

Cos’è il talento? X Factor ha cambiato l'idea che ne aveva?

L'ha confermata. Si tratta di qualcosa che è difficilissimo da trovare e riconoscere, e dev'essere per questo che se ne parla in modo tanto abusato e inflazionato. Può essere contraffatto e camuffato in tanti piccoli modi, a volte impercettibili e irrintracciabili. È come per la bigiotteria: è complicato riconoscere un diamante grezzo perché non brilla, è opaco, viene fuori dopo una seria di lavorazioni, non è abbacinante come gli zirconi, che sono scintillanti ma falsi, e ti illudono. Bisogna essere gemmologi pazienti e grandi lavoratori per distinguere la qualità dal fulgore. Chi ha talento non è affatto detto che emerga subito, anzi: sta a chi lo osserva capire se e quanto, lavorandoci, potrà venire fuori e splendere.

Ha detto a Io Donna che per ora non vuole figli perché ha intenzione di fare ancora molto rock and roll.

E non sai le critiche che sono fioccate. Pare che io non lo posso dire, non posso parlare di rock n'roll. Perché io sono Emma, e che cosa ne posso sapere. E invece ne so eccome.

E allora controbatta.

Fare rock n’roll non significa più suonare chitarre distorte e tenere le casse in quattro quarti, ma avere il coraggio di dire sempre quello che si pensa, rischiando di perdere consensi. Prendere una posizione chiara, restare impermeabili: questo, oggi, è fare rock’n’roll.

Mi fa un esempio?

Mina. Il mio primo amore, il più grande. Una che è sparita da quarant’anni dalla televisione e dalle scene, non ha mai avuto un social network, eppure ogni volta che fa un disco incanta e zittisce tutti. Ogni suo lavoro arriva inaspettato e ti spacca in due. Questo è il genio, questo è tutto.

Le piacerebbe poter fare altrettanto, prima o poi, domani, subito?

No. Io sono figlia di un altro tempo, forse peggiore, più bigotto, reazionario. Quando Mina andava in televisione, la Rai trasmetteva sceneggiati di grandi romanzi e portava il teatro a casa degli italiani grazie anche ad artisti che facevano tutto: cantavano, recitavano, ballavano. Oggi un musicista che sia anche ballerino lo giudichiamo male, pensiamo sia becero e ridicolo, un allievo di un programma scadente. E invece quella versatilità è puramente artistica.

C’è qualcosa che vorrebbe imparare a fare?

A difendermi. Vorrei sapermi preservare, non mostrare sempre il fianco.

E poi? Adiamo sul frivolo.

Mi piacerebbe saper fare qualcosa di pratico, che mi faccia uscire da questo mondo così effimero, che si possa toccare e conservare. Se potessi, se ne avessi il tempo, imparerei a confezionare vestiti e aprirei un atelier. Accidenti se lo farei. 

Ho visto che durante il lockdown ha cucinato moltissimo.

Lo faccio sempre, da sempre. Quando ero piccola, mia madre e mia nonna mi mettevano in mano le patate da pelare e così ho imparato presto a cucinare: capii subito che preparare da mangiare era un modo per fare felici gli altri. L’esempio che osservi da bambina diventa ciò che sei, no? Ora, quando invito i miei amici a cena cucino per loro tutto quello che so fare: l’idea di farli godere così mi fa impazzire.

Annalena Benini ha scritto: "Il femminismo non ha in mente la parità con l’uomo, ha in mente l’avventura delle donne. Ha in mente la generazione del senso di libertà di quello che una donna è per se stessa, e può diventare per se stessa, e in relazione con gli altri, indipendentemente da quel che fa un uomo. Non è l’uomo il termine di paragone, non è l’uomo l’unità di misura né la dannazione".

Non so se mi piace la parola femminismo. Di certo, mi piace pensare che le donne debbano essere riconosciute in tutto quello che fanno. Al potere ce ne sono tante, ma noi o non le raccontiamo o raccontiamo sempre le stesse donne di potere: le manager, le dirigenti, le straricche. E invece anche la proprietaria di un banco di ortofrutta è una donna che gestisce un’impresa, e lo fa al freddo, alzandosi al mattino prima dell’alba per alzare la saracinesca del suo negozio e occuparsi di tutto. E sì, quella è un'avventura. Se proprio c’è qualcosa cui vorrei che tutti venissimo educati è al riconoscimento di queste persone e delle loro storie, che io trovo avvincenti, bellissime, degne di rispetto e ammirazione come lo sono tutte le storie di lavoro e dedizione. Un'altra cosa: trovo che ci siano ancora troppe donne che si fanno la guerra tra loro. Lavorerei - moltissimo - su questo punto.

Le è capitato di far la guerra a un’altra donna?

No. Mai. Con le donne mi risulta più semplice parlare: vado dritta al punto, so che posso permettermi anche di usare un tono duro, che è più difficile essere fraintesa. Mentre con gli uomini devo fare molti giri, edulcorare, badare pure all'intonazione delle frasi. È così orrendamente facile che ti dicano “stai calma” o “hai le tue cose?” che devi necessariamente filtrare tutto.

Al tavolo dei giudici di X Factor lei è l’unica donna. Non mi pare filtri niente.

Perché a me interessa lavorare, dare tutto alla mia squadra. Sono lì per aiutare Blind, non per discutere in favore di pubblico, anche se so che questa è una parte importante dello show: tuttavia, è la parte che curo meno. Sono concentrata sul dare a Blind tutti gli strumenti per affrontare le sfide che lo aspettano. Sto con lui ogni giorno in sala prove, per ore: è il mio unico compito. Il mio preferito. Quanto mi piace il dovere. Quanto mi piace guadagnarmi la sua stima.

Sa già cosa farà, con lui e gli altri ragazzi della sua squadra?

Loro sanno che possono contare su di me, adesso e per sempre. Ma io non posso fare progetti: devo fornire loro i mezzi per costruirseli da soli. Devo dotarli degli strumenti per essere liberi e poter fare a meno di me, se lo riterranno giusto, se potranno farlo.

Che anno è stato questo 2020? Domanda inutile. 

E non ci scappa da ridere. È stato un orrore. Non ho suonato, non ho abbracciato i miei amici, non ho girato per Roma, non sono andata ai concerti degli altri. E non è niente in confronto all’incubo che hanno vissuto le persone che si sono ammalate o che hanno perso degli affetti. La cosa che penso continuamente da mesi e che mi dà più angoscia è che le persone, in tutto il mondo, stanno nascendo e morendo da sole, senza nessuno intorno. È tremendo.

Come ne usciremo?

Sono realista. Non penso che ne verremo fuori migliori: perché dovremmo? I buoni continueranno a essere buoni, i cattivi continueranno a essere cattivi, forse più di prima.

Ha dei rimpianti?

Nemmeno per sogno. Ho sempre fatto tutto con grande convinzione, anche gli errori. Sono un’impunita: se tornassi indietro rifarei tutto daccapo, incluse le cose che mi hanno fatto soffrire.

Come trascorre il tempo libero? Mi piace immaginarla a disegnare.

Ma non sia mai! Mi viene bene costruire cose con il cibo, per il resto mi piace passare il tempo con le persone che amo. Ne ho così poco a disposizione, perché sprecarlo in velleità?

Com’è Milano?

E chi l’ha vista? Io non esco che per andare a lavorare e a fare la spesa. Sono molto ligia, rispetto le regole. Non incontro nessuno dal 3 ottobre. Non voglio mettere a repentaglio la vita degli altri.

Zoom lo usa?

Neanche troppo. Sono rimasta alle telefonate, pure quelle neanche troppe. Gli amici veri sono quelli con cui non c’è bisogno di tenersi continuamente in contatto.

Cosa si aspetta dagli altri?

Niente. È il solo modo per esserne stupita. Ho imparato che il valore dell’autosufficienza sta in questo: nello sguardo libero che mi offre sugli altri. Provvedere a me stessa da sola mi rende capace di prendere il buono degli altri, apprezzare il valore della loro compagnia in modo completamente disinteressato. Nel mio silenzio sto benissimo. Sono felice.

Su Wikipedia c’è una foto in cui bacia in bocca suo padre. So che è stato lui a metterla sul palco la prima volta.

È l’amore della mia vita. È un bambinone. Ha perso la sua mamma quando aveva soltanto diciassette anni, e da adulta ho imparato a vedere come questo lo abbia reso fragile, indifeso. E infatti, con lui, sono molto protettiva, che significa anche rimproverarlo, esigere. Sono convinta che anche i figli debbano strigliare i genitori. 

Qual è stata la sua prima cosa bella con lui?

Portarlo in viaggio con me fino in Giappone e poi da lì andare fino a Las Vegas. Ci siamo divertiti come pazzi. Eravamo l’uno il compagno di giochi dell’altra. L’età adulta è anche questo: guardare i propri genitori come persone, andare incontro alla vita con loro tra individui alla pari.

Ci tocchiamo senza mai incontrarci?

Se gli occhi non riescono.

 

 

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.