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Arriva C0C, il festival indie a prova di Covid

Simonetta Sciandivasci

Si tiene dal 5 all'8 novembre ed è pensato interamente come una performance “adattabile ai decreti e alle ordinanze vigenti, quindi ibrida e modulabile”. Si potrà seguire in streaming sulla piattaforma DICE

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Quando gli indie erano giovani e molto sgarrupati, andavano al C2C, il Club to Club di Torino (la Torino dei Murazzi da bere, che nostalgia) per raffinare il gusto, farsi un’idea di futuro, di altrove e d’Europa. Con un unico biglietto, pure quello molto sgarrupato, se ne andavano in giro per quasi tutti i club della città, e scoprivano Carl Craig, Apparat e Jeff Mills e tutti quelli che, anni dopo, sarebbero andati a suonare a Roma al Circolo degli Artisti, presentati come avanguardia. Poi gli indie sono invecchiati ma il festival no, è soltanto cresciuto (l’anno scorso c’erano trentamila persone, arrivavano da 45 paesi) e s’è adattato a tutto, pandemia compresa.

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Quando gli indie erano giovani e molto sgarrupati, andavano al C2C, il Club to Club di Torino (la Torino dei Murazzi da bere, che nostalgia) per raffinare il gusto, farsi un’idea di futuro, di altrove e d’Europa. Con un unico biglietto, pure quello molto sgarrupato, se ne andavano in giro per quasi tutti i club della città, e scoprivano Carl Craig, Apparat e Jeff Mills e tutti quelli che, anni dopo, sarebbero andati a suonare a Roma al Circolo degli Artisti, presentati come avanguardia. Poi gli indie sono invecchiati ma il festival no, è soltanto cresciuto (l’anno scorso c’erano trentamila persone, arrivavano da 45 paesi) e s’è adattato a tutto, pandemia compresa.

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Si tiene dal 5 all’8 novembre, in concomitanza con la settimana dell’arte contemporanea di Torino e Piemonte, e sarà a prova di DPCM e quindi di Covid, e non nel senso che trasferirà tutto su Zoom, Skype, HouseParty, eccetera eccetera. E’ pensato interamente come una performance “adattabile ai decreti e alle ordinanze vigenti, quindi ibrida e modulabile” ed è questa la ragione principale per cui lo segnaliamo e ne parliamo: serve inventare, trasferire non basta più. Serve inventare perché non sappiamo quando finirà tutto questo e fino ad allora bisognerà pur vivere non di solo pane, e perché il mondo che verrà sarà diverso, irrimediabilmente cambiato, e per affrontarlo non basterà la banda larga: ci vorranno nuovi linguaggi.

 

L’acronimo dell’evento è C0C e tra le due C non c’è la O di oppure, ma uno zero, quello che precede ogni nuovo inizio, perché l’intenzione di questa edizione non è quella che i festival, comprensibilmente, hanno preso ad avere in queste settimane, ovverosia dimostrare che tutto si può fare con uno schermo e una connessione, bensì “indagare una possibile utopia contemporanea”. La maggior parte degli artisti presenti nel programma sono di quelli che quasi nessuno conosce (ve l’abbiamo detto che sono indie, ma indie davvero) e presenteranno lavori ideati e pensati per questo momento, per questi giorni, per questo festival specifico (Nationhood, Ninos Du Brasil, Artetetra). Sono stati previsti anche incontri e conversazioni sulla sostenibilità in campo artistico, per la precisa ragione che i festival sono organizzati quasi sempre senza alcuna accortezza ambientale e infatti hanno un pedigree nero (si chiama “ecological footprint”); talk sulla presenza femminile nell’industria culturale e su come la pandemia stia danneggiando il settore artistico.

 

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Tutto si può seguire in streaming sulla piattaforma DICE, alcune performance si terranno con il pubblico presente, altre produzioni finiranno in un disco dell’etichetta legata al festival, la C2C, che si propone una cosuccia non da poco: “valorizzare le scene e le community locali e costruire un’ideale mappa sonora mondiale”. Il direttore artistico, Sergio Ricciardone, presidente dell’associazione Xplosiva, l’anno scorso disse in un’intervista che quest’anno ci sarebbe stata un’edizione molto speciale, perché nel 2021 il festival compirà vent’anni, e specificò che non avrebbe dato nessuna anticipazione, niente di niente, “per scaramanzia”.

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È uno che ama Gianni Rodari, l’altro giorno una cavalletta gigantesca gli è piombata in ufficio e lui l’ha fotografata e ha pensato: non male quest’apocalisse. È la prova vivente che la scaramanzia non serve a niente. E nemmeno la resilienza (scusate la parola) serve a niente. Serve l’utopia: Gianni Rodari ha scritto che un giorno “il senso dell’utopia verrà riconosciuto tra i sensi umani insieme alla vista e l’udito eccetera”.

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