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Billie Eilish è l’artista dell’anno perché manda al diavolo la retorica del riscatto

Simonetta Sciandivasci

Il record della pop star. Diciotto anni, quattro Grammy, tutto

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Roma. Quadriplete si può dire? No? Mannaggia. Facciamo di sì, coniamolo qui. Quadriplete è la cosa che ha fatto domenica sera Billie Eilish, andando ai Grammy vestita orrendamente ma con stile, in Gucci dalla testa ai piedi, e vincendone ben quattro. Miglior disco dell’anno, canzone, recording, artista dell’anno. Non era mai successo a una donna, non era mai successo a un’adolescente. Che novità, direte, una ragazzina che vince tutto, l’ennesima enfant prodige figlia del tempo delle vigilie anticipate e dell’elisir della precocità. Più invecchiamo e inquiniamo il pianeta e più osanniamo i ragazzini, e leggiamo i loro libri che diventano bestseller, li facciamo andare a parlare all’Onu, e forse lo facciamo a titolo di rimborso, per ringiovanirci pure noi, o anche in forma precauzionale, perché sono così bravi e formidabili, questi adolescenti della Gen Z, che persino noi abbiamo capito che conviene tenerceli buoni, prima che ci spazzino via senza pietà.

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Roma. Quadriplete si può dire? No? Mannaggia. Facciamo di sì, coniamolo qui. Quadriplete è la cosa che ha fatto domenica sera Billie Eilish, andando ai Grammy vestita orrendamente ma con stile, in Gucci dalla testa ai piedi, e vincendone ben quattro. Miglior disco dell’anno, canzone, recording, artista dell’anno. Non era mai successo a una donna, non era mai successo a un’adolescente. Che novità, direte, una ragazzina che vince tutto, l’ennesima enfant prodige figlia del tempo delle vigilie anticipate e dell’elisir della precocità. Più invecchiamo e inquiniamo il pianeta e più osanniamo i ragazzini, e leggiamo i loro libri che diventano bestseller, li facciamo andare a parlare all’Onu, e forse lo facciamo a titolo di rimborso, per ringiovanirci pure noi, o anche in forma precauzionale, perché sono così bravi e formidabili, questi adolescenti della Gen Z, che persino noi abbiamo capito che conviene tenerceli buoni, prima che ci spazzino via senza pietà.

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Accendete Netflix: qualsiasi sia il vostro algoritmo, ci sono almeno un paio di epiche serie tv for teen che fanno per voi, che teen non siete (fatevene una ragione). Però, Billie Eilish non assomiglia a nessuno dei formidabili Z che portiamo in palmo di mano. Non assomiglia a niente. Come il suo quasi coetaneo Lucio Corsi, che la settimana scorsa ha pubblicato un disco che parla del vento. Ed è un manifesto d’amore simbiotico con la natura che noi, che al massimo siamo ecologisti, non possiamo capire, ma ammirare sì, e tanto basta. Billie Eilish condivide con molti altri fab teen la descrizione dell’attimo che è la giovinezza, ma diversamente da loro (meglio: da come li vogliono produttori editori inventori e factotum del loro successo) non ne fa una parabola di riscatto, affermazione di sé, rivendicazione della propria unicità.

  

Rinascere, riscattarsi, illuminarsi, vincere: tutte cose che non ha alcuna intenzione di fare. Lei cede. All’angoscia, ai mostri, al sottosopra, al fallimento. Non è ambiziosa. E il fatto che sia una vegana ambientalista gran lavoratrice che non tocca alcol non fa di lei una ridente creatura. Billie Eilish annega nell’angoscia. Ha i fantasmi sotto al letto. E’ bella ma non si trucca, si veste coprendosi molto, su Instagram non mostra la sua vita, non sorride, non si autopromuove. Nelle stories della prima diciottenne della storia che porta a casa quattro Oscar della musica non c’è traccia della cerimonia: ci sono soltanto due foto di Kobe Bryant. L’hanno anche rimproverata di aver parlato poco, quando è salita sul palco a ritirare i premi (poverina, aveva finito i grazie al primo Grammy, ma gli adulti volevano lo spettacolo, il dramma, l’infotainment, il reality show).

  

La canzone dell’anno l’ha scritta questo folletto grunge che secondo Dave Grohl assomiglia ai Nirvana – stessa portata della sua novità e impatto sui ragazzi, che la venerano. L’ha scritta insieme al fratello, come tutto il resto. Diciotto anni lei e ventidue lui. Si chiama Bad Boy, e di questo parla: di un cattivo ragazzo. Uno che non piace a tua madre, fa arrabbiare la tua ragazza, forse seduce tuo padre, e ti manda fuori di testa e ti fa sbandare e specchia e istiga e accoglie e coccola la parte più vera di te, la peggiore. Quella parte di te che sogna così forte che ti fa uscire il sangue dal naso.

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Eilish non conosce le canzoni di De André e Massimo Bubola, ma nel video della canzone dell’anno che ha vinto il Grammy domenica sera, dopo che sbuca fuori da una parete di carta gialla che prende a calci, si fa proprio uscire il sangue dal naso. E di quel sangue si cosparge la faccia tutto il tempo, perché pure questo è vivere: mantenere aperte le ferite, far sgorgare il sangue. E noi invece che i ragazzini li costringiamo a disinfettarsi e ricucirsi sempre, di modo che possano poi vantarsi delle cicatrici, noi proprio non abbiamo capito niente, come al solito.

  

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Brava Billie Eilish, e anche sexy. Non come le teen star italiane tirate su da “X Factor” che non sanno di cosa soffrire e allora hanno la cherofobia, la paura di essere felici. “Caro Bullo, ti scrivo. La mia amica è una in gamba, ed è per questo che resiste”, ha scritto Martina Attili (ex X Factor) su Il Libraio, la settimana scorsa. Eilish sa il bene e il male che fanno le cose, le bestie che abbiamo dentro, la resistenza passiva, il mondo visto da quella navicella spaziale che sono i diciotto anni.

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