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il foglio della moda

No green, no liquidità. A lezione da McKinsey

Mariarosaria Marchesano

L’attenzione dei consumatori nei confronti dei produttori di moda va oltre l’ambiente: riguarda l’intero sistema di valori

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Essere “verdi” per la moda non è più un vezzo, ma una necessità assoluta per continuare a garantirsi investimenti e liquidità. La sostenibilità, non solo in chiave ambientale ma anche sociale e di genere, è il nuovo mantra dei fondi di investimento mondiali, i cui capitali provengono soprattutto dai millennial. Detta così, scelte come quella di Moncler, che ha lanciato una nuova linea di giacche realizzate con materiali completamente ecologici, o di Gucci, che sta riducendo le emissioni di gas serra e partecipando alla ricostituzione di foreste, appaiono meno romantiche. Ma tutto sommato è meglio così. La sostenibilità è un tema troppo importante per la moda, per continuare a parlarne in modo ambiguo alimentando il sospetto che dietro gli sforzi di rinnovamento delle aziende ci sia una strategia di marketing. Meglio dire con chiarezza che è necessario investire, incubare e sperimentare soluzioni alternative, perché dal mercato arriva la richiesta di un profondo cambiamento che parte dai tavoli di disegno e arriva fino alla vendita, come spiega Mckinsey nel suo ultimo rapporto, in cui stima uno spreco di materiali nel ciclo produttivo superiore al 12 per cento.

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Essere “verdi” per la moda non è più un vezzo, ma una necessità assoluta per continuare a garantirsi investimenti e liquidità. La sostenibilità, non solo in chiave ambientale ma anche sociale e di genere, è il nuovo mantra dei fondi di investimento mondiali, i cui capitali provengono soprattutto dai millennial. Detta così, scelte come quella di Moncler, che ha lanciato una nuova linea di giacche realizzate con materiali completamente ecologici, o di Gucci, che sta riducendo le emissioni di gas serra e partecipando alla ricostituzione di foreste, appaiono meno romantiche. Ma tutto sommato è meglio così. La sostenibilità è un tema troppo importante per la moda, per continuare a parlarne in modo ambiguo alimentando il sospetto che dietro gli sforzi di rinnovamento delle aziende ci sia una strategia di marketing. Meglio dire con chiarezza che è necessario investire, incubare e sperimentare soluzioni alternative, perché dal mercato arriva la richiesta di un profondo cambiamento che parte dai tavoli di disegno e arriva fino alla vendita, come spiega Mckinsey nel suo ultimo rapporto, in cui stima uno spreco di materiali nel ciclo produttivo superiore al 12 per cento.

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“La pandemia ha accelerato le tendenze che erano già in atto, come lo spostamento verso lo shopping digitale e la crescente tendenza dei consumatori di moda a difendere equità e giustizia sociale, oltre che l’ambiente”, dice Emanuele Pedrotti, partner di McKinsey e responsabile della divisione Fashion& Luxury per il Mediterraneo. “Secondo un nostro sondaggio, il 20 per cento dei consumatori italiani dichiara di preferire prodotti di aziende attente ai propri dipendenti. La percentuale sale al 27 per cento per le aziende che offrono prodotti sostenibili, mentre il 17 per cento si chiede se l’azienda abbia un sistema di valori condivisibili prima di acquistare”. Secondo Pedrotti, rivoluzione è in grado di condizionare il futuro del sistema moda, che parte da livelli di efficienza più bassi rispetto ad altri settori. Non solo il 12 per cento dei tessuti casca sul pavimento nelle sale di taglio, trasformandosi  in scarto, ma il 25 per cento degli indumenti rimane invenduto e meno dell’1 per cento viene riciclato. 

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L’attenzione dei consumatori nei confronti dei produttori di moda, comunque, va oltre l’ambiente: riguarda l’intero sistema di valori e questo comporta che “nei prossimi dieci anni le imprese di maggior successo saranno nquelle che generano profitti all’interno di un progetto produttivo che includa valori considerati rilevanti per la società”. La spinta in questa direzione arriva dai consumatori ma anche dagli investitori da quando la generazione dei millennial è diventata destinataria di un trasferimento di ricchezza senza precedenti. Il loro patrimonio è stato stimato da Ubs in 24 trilioni di dollari nel 2020 ed è logico, quindi, che gli orientamenti che esprimono saranno fondamentali per definire le scelte di investimento del futuro. I millennial, secondo un’altra ricerca di Morgan Stanley, hanno il doppio delle possibilità di investire in azioni o fondi se la responsabilità sociale è uno degli obiettivi condivisi perché vogliono essere certi di impiegare i propri risparmi in aziende che siano in sintonia con i propri valori. Se questo succede, come osserva qualcuno, a causa di una interpretazione esasperata del politicamente corretto o se le nuove abitudini di consumo non sono prive di contraddizioni (comprando soprattutto online, non sempre si favorisce la sostenibilità tra spedizioni e imballaggi e in più si contribuisce alla scomparsa di botteghe e piccoli negozi), poco importa.

 

Questa generazione ha di fatto definito una nuova tendenza per i mercati finanziari. Come osserva Chiara Rotelli, analista di Mediobanca, “sta aumentando il numero di investitori istituzionali interessati ad aziende del settore moda e lusso che abbiano adottato una precisa strategia di responsabilità sociale e ambientale. Negli ultimi tempi non è raro che negli incontri tra aziende quotate e il mondo degli investitori partecipino anche esperti e consulenti in sostenibilità”. Non è un caso che i ceo di una sessantina di aziende leader mondiali del settore abbiano sottoscritto il “Fashion pact”, focalizzato su tre aree principali: clima, biodiversità e oceani. Uno dei principali promotori è il colosso francese Kering e tra le aziende italiane compaiono Geox, Moncler, Prada e Ferragamo. “Nella moda, l’attenzione alla sostenibilità è probabilmente agli inizi rispetto, per esempio, ad energia ed utilities, prosegue Rotelli. "Ma la pandemia ha impresso un’accelerazione e questo tema sta diventando centrale per il mercato finanziario che offre strumenti ad hoc alle aziende per finanziarsi come i green bond, scelti di recente anche da Chanel”.

 

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In questo contesto, la circolarità è diventata un imperativo: paesi come la Francia si sono dati regole severe per vietare la distruzione di beni di lusso. Come spiega il rapporto McKinsey, quando si tratta di proteggere “il file ambiente” l’industria della moda sa che “less is more”, ovvero minore è l’impatto che abbiamo sul nostro pianeta, maggiori saranno i vantaggi per le aziende, le persone e la natura. E se la fase pandemica ha accelerato la vendita di abiti usati - come dimostra l’aumento del 300 per cento registrato dall’app di rivendita Depop a fine 2020 – vuol dire che un nuovo mondo è iniziato e che, dice Rotelli e non è una boutade, “anche un bel guardaroba può essere un asset patrimoniale”.

 

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