PUBBLICITÁ

Il Foglio della moda

Lifestyle addio

Pierpaolo Piccioli

Dimenticare le apparenze da sogno e creare invece la community: un gruppo di persone che vive ognuna a proprio modo condividendo valori. La nuova sfida della moda

PUBBLICITÁ

Ernest Hemingway ha detto ‘scrivi di ciò che conosci’. Quando Fabiana mi ha chiesto di scrivere questo pezzo mi sono trovato di fronte alla carta bianca. Carte blanche è una moltitudine di possibilità ma anche di opportunità per dare voce ai miei pensieri. Io ho imparato a metterli in ordine attraverso la moda. È diventata il mio linguaggio: sono un designer, ho scelto di esserlo e se sei un designer bravo credo che attraverso le immagini tu debba raccontare quello che pensi, i valori in cui credi, esporti senza filtri, metterti a nudo. Ora la carta bianca è una opportunità in qualche modo nuova ed è un’opportunità per raccontare con le parole quello che faccio già, l’occasione per fare un percorso inverso, tradurre in parole le immagini, per scrivere di quello che conosco.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Ernest Hemingway ha detto ‘scrivi di ciò che conosci’. Quando Fabiana mi ha chiesto di scrivere questo pezzo mi sono trovato di fronte alla carta bianca. Carte blanche è una moltitudine di possibilità ma anche di opportunità per dare voce ai miei pensieri. Io ho imparato a metterli in ordine attraverso la moda. È diventata il mio linguaggio: sono un designer, ho scelto di esserlo e se sei un designer bravo credo che attraverso le immagini tu debba raccontare quello che pensi, i valori in cui credi, esporti senza filtri, metterti a nudo. Ora la carta bianca è una opportunità in qualche modo nuova ed è un’opportunità per raccontare con le parole quello che faccio già, l’occasione per fare un percorso inverso, tradurre in parole le immagini, per scrivere di quello che conosco.

PUBBLICITÁ

 

Io conosco le persone. Conosco le persone che mi amano. Conosco il mio lavoro e le persone con cui lavoro. In tutti questi anni sono cambiate molte cose: i volti, i collaboratori, le storie. Anche la mia personale di storia è cambiata e sicuramente cambierà ancora. Quello che non è mai cambiato invece è il modo in cui io ho bisogno di lavorare. Io ho bisogno di ascoltare, guardare, conoscere gli esseri umani che mi circondano e che, ogni giorno, contribuiscono alla crescita dell’azienda che rappresento. Ho bisogno di poter scambiare con loro idee, discutere, rivedere decisioni e ho bisogno che loro tutti, si sentano liberi di poterlo fare. Ho bisogno che si sentano accolti, che le loro voci abbiano un peso, ho bisogno di sentire che capiscano quanto sono importanti, tutti. Non è sempre facile e nemmeno sempre possibile, ma un ambiente lavorativo sano, fondato sul rispetto e la compartecipazione è, per me, una condizione imprescindibile.  Penso che solo così le persone possano metterci l’anima, solo così possano sentirsi parte di un grande Progetto. Solo così si consegna un sogno.

 

PUBBLICITÁ

Io parlo spesso di inclusività, individualità ed empatia. Non sono solo belle parole e nemmeno una filosofia di vita; piuttosto sono gli unici indicatori, le uniche linee guida verso un futuro migliore e forse, verso l’unico futuro possibile. Sono nato nel 1967, Neil Armstrong due anni dopo sarebbe stato il primo uomo a posare un piede sulla luna. Da bambino, quando pensavo al futuro, quando tutti noi pensavamo al futuro, immaginavamo lo spazio, le navicelle, le tute da astronauti, la realtà cibernetica, le gite sulla luna.

 

Sono profondamente convinto che il futuro sia nelle persone, nella capacità di rendere grandi i piccoli gesti di ognuno, nel rispetto dell’unicità di ogni singola storia personale, nell’emozione e nelle possibilità di un incontro, nella capacità di immaginazione, nell’opportunità di sognare, nell’uguaglianza delle persone a dispetto di ruoli, generi, culture. nella celebrazione dell’umanità.

 

Io disegno vestiti, mi occupo di moda e la moda è un comunicatore potente. Si possono dire e fare molte cose anche solo attraverso la scelta di un volto, delle persone che indosseranno quegli abiti durante una sfilata; si può dire molto attraverso il racconto di chi a quelle collezioni lavora. Quando mi sono trovato a fare il direttore creativo da solo, ho capito che questo non poteva essere solo un lavoro, dovevo metterci di più, dovevo metterci me stesso e la mia storia. Solo quando le storie sono molto personali possono diventare molto universali. Valentino era un marchio noto per la sua esclusività, per il life style da fiaba. Ma il concetto di life style non mi piace: rappresenta un gruppo di persone che condivide apparenze e superficie. Mi piace la community: un gruppo di persone che vive ognuna a proprio modo condividendo valori. La mia sfida è stata, quindi, quella di dimenticare il life style da sogno e di creare invece una community di persone che sognassero lo stesso mondo, senza però dimenticare i valori e l’identità e le persone che questo brand.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Nell’atelier dell’alta moda di Valentino, in piazza Mignanelli, a Roma, lavorano settanta persone. Non sono “petites mains”: sono professionisti, donne e uomini, in grado di tradurre, attraverso il loro lavoro, la mia visione, i miei disegni, le mie intuizioni. Mi piace raccontare loro quello che voglio fare e portarli con me a vedere dalla mia prospettiva. In questo modo non sono esecutori, ma diventano viaggiatori insieme a me. Certo, l’organizzazione del lavoro ha bisogno di una struttura chiara e come in qualsiasi bottega dell’arte queste tradizioni sono necessarie anche per il passaggio delle conoscenze da una generazione all’altra. Ma c’è molto più di questo. La percezione e il valore del tempo si dilatano. Queste cose non possono essere fatte di corsa ed esiste un solo modo per farle ed è il modo corretto. Quando non puoi affrettare, aggirare o soggiogare il tempo a tuo piacimento sei in un certo senso costretto anche a pensare in un altro modo, che forse può sembrare quasi analogico in un mondo tanto digitalizzato. In realtà non lo è. Ho capito anche grazie a questo lavoro quanto la coesistenza di linguaggi sia fondamentale per qualsiasi tipo di evoluzione.

 

PUBBLICITÁ

Ed è sempre il tempo che lascia sempre tutti sbigottiti quando scoprono quante ore di lavorazione ci siano volute per un solo abito, ma quelle ore appartengono a qualcuno, sono state il gesto intenzionale delle persone che hanno scelto di dedicare parte della loro vita a questo mestiere. Nell’Ordre de Passage di ogni sfilata di couture (che sarebbe il “libretto” dell’alta moda) vengono raccolte diverse informazioni: gli abiti sono descritti in modo dettagliato ma hanno anche, per tradizione, un nome. Un paio di anni fa, pensando a una rosa di nomi possibili per gli abiti che avrebbero dovuto sfilare di lì a poco, ho realizzato che l’unico nome possibile fosse quello delle persone che lo avevano realizzato. Qualcuno potrebbe dire che (agire in questo modo) sia quasi un ossimoro, che io voglia fare il comunista in un mondo di privilegio: in fondo è vero. In quest’anno assurdo, invece di ammorbidirmi mi sono, se possibile, ancora più radicalizzato. Forse è quello che è successo un po’ a tutti, nel bene e nel male. Questa radicalizzazione ha portato con sé anche tanta chiarezza. Amo il mio lavoro, mi piace la moda, mi piace farla come si deve e mi piace anche condividere, attraverso di essa, quello che ho in testa, i miei valori, la mia vita. Perché un'altra cosa che ho capito è che l’unico modo per essere rilevanti è quello di essere capaci di vivere e raccontare il proprio tempo, senza filtri.

 

Pierpaolo Piccioli
designer, direttore creativo di Valentino
 

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ