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Il gorilla in passerella da Armani che ci ricorda chi siamo

Fabiana Giacomotti

In una settimana di moda dai richiami borghesi, la statua esce dal salotto di casa dello stilista per ricordare la necessità di salvaguardare il pianeta. E che fra borghesia e ferinità non c'è che un passo 

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“Attenti al gori-i-i-lla” cantava Fabrizio De Andrè, in una delle sue spietate ma felici satire della natura umana. Ed ‘ proprio così, come un sorridente memorandum agli albori dell’umanità, e alla necessità di proteggerla innanzitutto da se stessa, che ci piace interpretare il sorriso enigmatico di Giorgio Armani appoggiato a Uri, il primate a grandezza naturale in resina verde dai riflessi blu che di solito occupa una posizione di rilievo nel suo salotto di Milano, in chiusura dei filmati di presentazione delle collezioni uomo e donna inverno 2021, ancora una volta in digitale. Realizzato dall’artista Marcantonio Raimondi Malerba, che lo realizzò molti anni fa per un set cinematografico, per una volta Uri, “il fiammeggiante” secondo il suo nome biblico, ha lasciato via Borgonuovo per piazzarsi al centro della passerella e del logo GA da dove ha osservato, sornione e ieratico, il passo delle ragazze in organze e velluti, in un perfetto ribaltamento di prospettiva rispetto al celebre gorilla spiaggiato che apriva il film “Ciao maschio” di Marco Ferreri.

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“Attenti al gori-i-i-lla” cantava Fabrizio De Andrè, in una delle sue spietate ma felici satire della natura umana. Ed ‘ proprio così, come un sorridente memorandum agli albori dell’umanità, e alla necessità di proteggerla innanzitutto da se stessa, che ci piace interpretare il sorriso enigmatico di Giorgio Armani appoggiato a Uri, il primate a grandezza naturale in resina verde dai riflessi blu che di solito occupa una posizione di rilievo nel suo salotto di Milano, in chiusura dei filmati di presentazione delle collezioni uomo e donna inverno 2021, ancora una volta in digitale. Realizzato dall’artista Marcantonio Raimondi Malerba, che lo realizzò molti anni fa per un set cinematografico, per una volta Uri, “il fiammeggiante” secondo il suo nome biblico, ha lasciato via Borgonuovo per piazzarsi al centro della passerella e del logo GA da dove ha osservato, sornione e ieratico, il passo delle ragazze in organze e velluti, in un perfetto ribaltamento di prospettiva rispetto al celebre gorilla spiaggiato che apriva il film “Ciao maschio” di Marco Ferreri.

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Correva il 1978, dunque sono passati poco più di quarant’anni, ma sembrano due secoli: la donna che lì appariva determinata e vincente al punto di violentare l’uomo sta ancora lambiccandosi sui modi per ottenere quella parità di diritti che le vengono negati random, a fasi alterne e anche inaspettatamente, e sfuggire alle violenze che l’emergenza Covid ha solo acuito. Il pianeta è in condizioni molto peggiori rispetto a quelle già distopiche del film, al punto che Armani ha fatto di Uri un simbolo del suo impegno per il pianeta (“accumulare denaro non ha molto senso se poi distruggi il pianeta dove abiti”, diceva poche settimane fa in presentazione della collezione couture), effettuando al contempo una donazione al WWF per la salvaguardia di questa specie. A dire il vero, non è la prima volta che il simbolo del gorilla affianca le presentazioni di Armani: una serie di riproduzioni di Uri in diverse scale cromatiche (oro, rosso, nero), ha viaggiato negli ultimi anni per il mondo, seguendo i lanci della borsa-simbolo dello stile di Armani, “La Prima”.

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“Il gorilla è un elemento eccentrico, di forte contrasto con l’ambiente domestico che lo ospita”, dice lo stilista. “Riflette il mio grande amore per gli animali e la natura e contribuisce a creare, con leggerezza, una sorta di oasi nella mia casa di Milano. Ho pensato di metterlo al centro della scena perché oggi mi sembra fondamentale ricordare in ogni occasione quanto sia importante la salvaguardia del mondo naturale”. Non ci sono dubbi che sia così: eppure, nulla ci toglie dalla mente che Uri fra quelle bellissime bestie umane, eleganti, fluide e leggere, vestite di blu polvere e di tinte acquose e gentili, sia anche uno di quegli svirgoli sociali, una di quelle sorridenti ironie che i milanesi sanno fare di e su se stessi e sulla borghesia che li rappresenta quasi in automatico.

 

Non crediamo sia un caso se, in una stagione di collezioni grandemente borghesi, che quasi sembrano anelare al ritorno di una classe dirigente competente e impegnata, il massimo interprete dell’eleganza alto borghese milanese, sofisticata e intellettuale, si sia consentito un tocco iconoclasta non tanto nei vestiti, come avrebbe fatto e fa tuttora con maestria Miuccia Prada, ma nella messinscena e nel messaggio destinato a chi lo osserva, come a ricordare che lo stadio del primate non è poi così lontano nel tempo di evoluzione del pianeta. E che fra la natura selvaggia e la classe sofisticata a cui crediamo di appartenere non c’è che la seta di un pantalone e un’andatura mirabilmente eretta.  

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