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Stock esaurito

Perché tutti vogliono le scarpe Lidl. Il fallimento del mito dell’artigianato

È evidente che la famosa “difesa del negozio di prossimità” e del made in Italy sia un gioco e un’attività di marketing per le aziende del lusso

Fabiana Giacomotti

Addio teorie sulla sostenibilità. Altroché caccia al piccolo artigiano sconosciuto e geniale: il cheap-chic mette radici perché è più facile, più economico, meno impegnativo per le intelligenze e il tempo a disposizione di tutti

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Poi dovete spiegarmi se non vi sia una qualche dissonanza cognitiva fra il presidente di Altagamma Matteo Lunelli che adesso, in diretta zoom, sta dicendo di aver chiesto aiuti al governo per favorire la filiera dei piccoli artigiani del lusso e del food e che “il consumatore sta spostando la propria attenzione sul valore intrinseco del prodotto e la sua sostenibilità” e i furbacchioni che ieri hanno mandato esaurito lo stock di sneaker Lidl a dodici euro e 99 fatte chissà dove e chissà come, alla faccia dei ristori per le piccole imprese e del messaggio para-autarchico “comprate italiano” che risuona da mesi.

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Poi dovete spiegarmi se non vi sia una qualche dissonanza cognitiva fra il presidente di Altagamma Matteo Lunelli che adesso, in diretta zoom, sta dicendo di aver chiesto aiuti al governo per favorire la filiera dei piccoli artigiani del lusso e del food e che “il consumatore sta spostando la propria attenzione sul valore intrinseco del prodotto e la sua sostenibilità” e i furbacchioni che ieri hanno mandato esaurito lo stock di sneaker Lidl a dodici euro e 99 fatte chissà dove e chissà come, alla faccia dei ristori per le piccole imprese e del messaggio para-autarchico “comprate italiano” che risuona da mesi.

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Sia ben chiaro, non ce l’abbiamo con Lidl e le sue tremendissime ciabatte e ci fa molto ridere che qualche brand victim vecchio stampo le stia comprando a 200 euro su eBay sempre in questo momento (il bello di vivere tutti nella bolla digitale è che le cose ti accadono attorno come nei sogni e basta allungare la mano sulla tastiera per afferrarle). Però è evidente che, come accade ovunque e in special modo in Italia, dove il bene comune riguarda l’altro ma le lamentele sono sempre condivise, la famosa “difesa dell’artigiano e del negozio di prossimità” sia un gioco e un’attività di marketing per le aziende del lusso, che infatti in questi ultimi mesi vi stanno orchestrando attorno fior di campagne e di iniziative: Dolce&Gabbana, Yoox con il principe Carlo, i siti di e-commerce come ArteMest che infatti dichiarano di crescere oltre il 200 per cento all’anno, soprattutto all’estero dove forse le dissonanze sono meno sfacciate e il made in Italy ha un valore.

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Guardatevi attorno, è tutta una gran caccia all’artigiano e al mio-è-più-sconosciuto-e-geniale del tuo. Ma la verità è che queste stesse aziende, negli anni, hanno alimentato in parallelo anche il mercato del cheap-chic, che ha messo radici perché è più facile, più economico, meno impegnativo per le intelligenze e il tempo a disposizione di tutti.

 

L’origine di tutti i Lidl degli ultimi anni è Demna Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga, con il suo brand Vetements che negli anni scorsi elevò al rango di culto le t shirt di Dhl, oppure Jeremy Scott di Moschino, che per anni ha “rivisitato”, insomma ricalcato, colori, forme e moduli di icone del mass market come McDonald’s.

 

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La pandemia, come dice Lunelli che produce vini, un settore dove il cheap-chic è sempre a rischio di visite dei Nas, racconta cose vere, ma inquadra una tendenza che riguarda una percentuale relativamente limitata di clienti. Sulla maggioranza, decenni di relazioni pericolose con il fast fashion, di delocalizzazione, di ricerca ossessiva della crescita “double digit” a scapito di tutto e di insistenza sul solo valore del marchio hanno lasciato un’impronta che altro che le sneaker Lidl.

 

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Per inserire la marcia indietro ci vorrà un tempo uguale se non superiore a quello profuso nel distruggerlo, il mito dell’artigianato. E molti denari dati agli influencer della generazione Z che, dice sempre Altagamma, sono stati i primi a rientrare nei negozi al termine del lockdown numero uno.

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