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il foglio del weekend

A me gli occhi

Fabiana Giacomotti

Coperti dalle mascherine, abbiamo imparato a mostrare molto altro. Il Covid ha cambiato il nostro modo di truccarci e il business cambia

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Quelle di noi che hanno lavorato nei paesi islamici o negli Emirati più integralisti, tipo Abu Dhabi, per anni hanno comprato lì i propri mascara. Cinicamente. Ben sapendo che nessun altro luogo al mondo può testarli meglio di quello in cui le donne possono mostrare pubblicamente di sé solo gli occhi e che dunque hanno imparato a farlo con una sapienza feroce. Per anni, nei ristoranti, per le strade, nei mall dove folti gruppi di signore in nero dalla testa ai piedi compravano annoiate lingerie di seta e abiti da sera per migliaia di dollari al giorno, abbiamo osservato certi giochi di sguardi con guardiani e buttafuori da incenerire un bosco di cedri del Libano, sentendoci superiori perché a noi veniva risparmiata tutta quella fatica.

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Quelle di noi che hanno lavorato nei paesi islamici o negli Emirati più integralisti, tipo Abu Dhabi, per anni hanno comprato lì i propri mascara. Cinicamente. Ben sapendo che nessun altro luogo al mondo può testarli meglio di quello in cui le donne possono mostrare pubblicamente di sé solo gli occhi e che dunque hanno imparato a farlo con una sapienza feroce. Per anni, nei ristoranti, per le strade, nei mall dove folti gruppi di signore in nero dalla testa ai piedi compravano annoiate lingerie di seta e abiti da sera per migliaia di dollari al giorno, abbiamo osservato certi giochi di sguardi con guardiani e buttafuori da incenerire un bosco di cedri del Libano, sentendoci superiori perché a noi veniva risparmiata tutta quella fatica.

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Secoli dopo le manovre con i ventagli e i nei, per esprimerci noi dell’occidente laico avevamo il sorriso, le mani; un buon numero anche una vasta porzione di corpo da offrire generosamente agli sguardi e al gioco della seduzione. Poi è arrivato il Covid, e quel che sarebbe accaduto ci è apparso chiaro da una vignetta (ci pare fosse il New Yorker ma era politicamente scorrettissima, dunque probabilmente ci sbagliamo), in cui due donne infilavano una mascherina Ffp2 sul burqa, trasformandosi all’istante in certi palombari raffigurati nei romanzi di Jules Verne.

 

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Di colpo abbiamo smesso di sentirci tanto cosmopolite con i nostri mascara halal, no animal tested, grazie ai quali guadagnavamo un centimetro buono di ciglia nerissime, senza contare che, osservando meglio i tubetti, avevamo scoperto che venivano prodotti in Italia, come buona parte della cosmetica di qualità mondiale, un’altra eccellenza di cui in genere si sa poco. Ora, oltre alla cosiddetta seconda ondata di coronavirus è arrivato anche l’inverno: la mattina presto ci infiliamo un cappellino contro i colpi d’aria, la mascherina, il cappotto, gli stivali e siamo uguali precise alle donne della vignetta. Insomma, oltre alla nostra voce attutita dietro la banda elasticizzata in cui infiliamo bocca e naso, da cui un incredibile sforzo fonetico che fatichiamo a ricalibrare quando rientriamo a casa, per esprimere i nostri sentimenti sono rimasti anche a noi solo gli occhi. E quindi abbiamo iniziato a truccarli come mai ci era capitato prima d’ora. 

 
Di recente abbiamo letto che il fenomeno pop dell’anno, Zoe Wees, la mattina si alza e per prima cosa si trucca, come a giudicare dalle dirette delle 7 e mezzo del mattino su TikTok pare facciano milioni di altre adolescenti. Ci trucchiamo perfino noi della generazione che non sta bene se non in rare occasioni, che solo le poverecriste, le ballerine di fila e le professioniste si truccano, perché la scoperta dello sguardo da coniglio che si prende con gli occhi struccati sopra la mascherina è stata uno choc.

 

Una routine: copriocchiaie, ombretto, matita, mascara e naturalmente matita per rinfoltire le sopracciglia che, negli anni di Cara Delevingne e di Lily Collins “Emily in Paris”, sono diventate dirimenti e come logico carissime da ottenere: per un buon tattoo in microblading si spendono fino a mille euro. Dunque, chi sa, fa da sé e magari insegna nei tutorial su Instagram e Facebook che negli ultimi mesi hanno avuto un boom, complice anche la nuova Dulcamara in gonnella, tale Cristina Fogazzi in arte Estetista cinica, che ai suoi 720mila follower dispensa i suoi specifici-per-poco-io-ve-li-do e battute al fulmicotone (“a quelli che il Covid è un’influenza. Vi voglio bene come se ne vuole a un herpes uscito al primo appuntamento”). I centri estetici aprono a singhiozzo, cioè a seconda del Dpcm della settimana, per cui ci si arrangia. Chi ha avuto la fortuna di bazzicare le riviste femminili, dove esiste quel sancta sanctorum di prodotti destinati ai servizi fotografici che prende il nome di “armadio delle bellezzare”, ha imparato per forza, fosse solo correggendo le didascalie. Chi frequenta le televisioni, più o meno ha capito come valorizzarsi spiando tutto quell’armeggiare sulla propria faccia e applicandovisi per il trenta per cento in meno rispetto alle addette del reparto trucco&parrucco (con certe reti anche per il cinquanta). 

 
Cosmetica Italia, l’associazione dei produttori di prodotti cosmetici, stima che a fine anno il fatturato globale del settore registrerà una contrazione dell’11,6 per cento per un valore di 10,5 miliardi, soprattutto a causa dell’export, in calo del 15 per cento, ma che la situazione avrebbe potuto essere decisamente peggiore non fosse stato per quella che il presidente Renato Ancorotti definisce “la resilienza del settore”, e cioè la sua capacità di adeguarsi al momento, concentrandosi soprattutto sulle vendite online. I canali di consegna a casa, i marketplace, i servizi personalizzati Sephora dove i prodotti di Rihanna vanno per la maggiore e anche quelli della profumeria sotto casa (questa molto in sofferenza ma a sua volta pronta a combattere e a non lasciarsi sopraffare dal combinato disposto Covid-mass market) stanno godendo di un boom che dovrebbe attestarsi sul +35 per cento a dicembre, come peraltro si evince anche dai dati trionfanti diramati dalla fiera di categoria, Cosmoprof, che a metà ottobre ha chiuso il suo secondo evento digitale dell’anno, WeCosmoprof, con oltre 40mila visitatori e più di 500 aziende che hanno presentato i loro prodotti su una delle tante piattaforme sviluppate specificamente per l’occasione, una di queste con Daniel Zhang di Alibaba. 

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Si va configurando un new normal estetico che, oltre all’ecommerce, premia le farmacie: si entra per chiedere se sia arrivato quel dannatissimo vaccino antinfluenzale (cartellone esposto nella vetrina di una farmacia milanese: “Non sappiamo quando arriva. Neanche ‘più o meno’, neanche ‘suppergiù’, neanche ‘secondo te’”) e si esce con un nuovo rossetto. Anzi, quello no: l’uso ubiquo della mascherina ha fatto crollare il mercato dei prodotti per le labbra che per quasi un secolo sono stati invece il segnale di riscossa dalle grandi crisi finanziarie. L’ultima volta che scrivemmo del Lipstick Index, l’“indice del rossetto” coniato da Leonard Lauder che indicherebbe la reazione femminile positiva ai tempi di crisi, correva il 2008 e i dipendenti di Lehman Brothers avevano appena abbandonato il grattacielo di Manhattan con i loro attrezzi del mestiere nelle scatole di cartone in una foto che avrebbe fatto storia. Il mondo era andato a gambe all’aria per i mutui subprime degli Usa, il sistema della moda scontava la terza delle grandi crisi in vent’anni, ma il comparto della bellezza poteva ancora parare i colpi avversi del destino, o per meglio dire quelli della finanza d’assalto.

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Fino a oggi l’emergenza toccava sì le tasche, ma non la persona, e con questo intendiamo il termine nella sua valenza etimologica di maschera, dall’etrusco phersu: il trucco serviva insomma a darsi una botta di allegria, ma non era diventato, come adesso, un biglietto da visita professionale e al tempo stesso una controprova di autostima da smartworking sine die. La make up artist Elisa Bonandini, che affianca le donne chemioterapiche nel loro apprendistato all’arte del camouflage, lascia intendere che l’emergenza Covid ha fatto emergere profonde incertezze che il trucco, il ben figurare alla riunione su Zoom, aiuta a contenere. Vesti la giubba e la faccia infarina. I dispositivi di protezione anti-Covid, e un nuovo senso generale per la persona modellato attorno alla mascherina che fra l’altro, disgraziatamente, toglie ossigeno alla pelle del viso e rende inutile il rossetto, stanno cambiando – gli esperti dicono per sempre – il redditizio mercato della bellezza di cui l’Italia è fra i leader mondiali con un fatturato globale pari a 12 miliardi diretti e 33 miliardi in valore di filiera, con la zona lombarda di Crema al centro.

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La partita, dice Ancorotti, si giocherà sulla qualità e la ricerca che, almeno nella cosmetica, vede l’Italia all’avanguardia con investimenti nell’ordine del 7 per cento del fatturato, a fronte di una media nazionale per tre. “Al nostro paese non manca niente, si tratta solo di non seguire eccessivamente le mode del momento e le iperboli del marketing”, dice, ricordando il periodo delle creme alla pappa reale che, nessuno lo diceva mai, avevano metodi di conservazione e durata inferiori a quelle di uno yogurt. Di certo viene un soprassalto di tristezza pensando a quegli anni allegramente ignoranti e a questi, compressi fra le esigenze di una pandemia e le richieste rigorosissime degli ambientalisti: i mascara destinati agli Stati Uniti, per esempio, sono totalmente vegani, e dunque escludono la cera d’api che per lunghi anni ha nutrito e allungato le ciglia. Adesso, si lavora sulle fibre della pianta del ricino, ma anche al di là di questi dettagli, è tutto il settore che va cambiando, profumi e fragranze compresi.

   
Il trucco del volto sta perdendo terreno, occhi esclusi ma non in maniera significativa come ci si sarebbe aspettati rispetto alla cura della pelle, si intende fuor di metafora. Dicono comunque gli esperti che questo mutamento durerà molto a lungo, certamente ben oltre la fine della pandemia. E anche in questo caso, tanto per cambiare, i dati sono contrastanti e diversi rispetto alla percezione generale. Le ultime rilevazioni Nielsen segnalano per esempio che il make up delle labbra ha ceduto addirittura del 60 per cento, e fin qui era abbastanza intuibile; il segnale significativo, quello che cioè lascia intuire il cambiamento profondo, è però relativo al make up degli occhi. Chi si aspettava la nascita di un “mascara Index” che avrebbe equiparato il mercato della cosmetica occidentale a quello mediorientale per modalità d’uso e richieste è andato deluso. Ciò che ormai accomuna i mercati mondiali è piuttosto la ricerca di prodotti ecologici, halal, cioè “consentiti”, che non fanno ricerca e sperimentazione sugli animali, un generale interesse per il benessere e, segnala sempre Cosmoprof, il mutamento dei codici estetico-etnici.

 
Secondo Michael Nolte dell’agenzia Beautystreams, nel giro di dieci anni il mercato della bellezza si sarà riconfigurato completamente lungo tre macro-tendenze le macro-tendenze. In primo luogo, l’evoluzione genetica: il volto dei prossimi dieci anni andrà oltre le distinzioni di provenienza geografica, con tratti privi di espliciti riferimenti geografici. Lo si vede già negli avatar e nelle influencer digitali: il mondo reale sta seguendo, e molto velocemente. Un altro elemento chiave sarà l’età del consumatore. A dispetto di quel che pensa e purtroppo anche scrive il governatore della Liguria Giovanni Toti, i produttori di cosmetici non vogliono perdere uno solo dei loro ricchi e numerosissimi ultrasessantenni, la fascia di mercato maggiormente in crescita; anzi, si stanno attrezzando per servire gli ultraottantenni, cioè i primi baby boomers, forse improduttivi ma accidenti quando liquidi e vogliosi di divertirsi e restare belli. Infine, questione spinosa, il gender: Nolte ritiene che entro il 2030 il tema, che sta diventando sempre più centrale nelle strategie aziendali, abbraccerà “uno spettro di sfumature sempre più ampio”. Mentre parla ci immaginiamo un esercito di Mick Jagger settantenni, inguainati nei jeans e con gli occhi bistrati: finirà così, e sarà un gran recupero dei modi dell’Antico Regime, alla faccia di Robespierre.

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