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Viva la ffp2

Così nell'alta moda la mascherina diventa feticcio

In alcune regioni arriva l'obbligo anche all'aperto e intanto aprono decine di negozietti. Viaggio dietro le quinte nel mondo dell'haute-couture, che i dispositivi sanitari li produce e li vende, ma agli altri

Fabiana Giacomotti

Ci eravamo detti che le mascherine non ci avrebbero avuti mai. Poi, alla prima sfilata in presenza, ci siamo lasciati sedurre dalla fascia di seta pieghettata modello paisley ricevuta in omaggio. Da quelle griffate a quelle di diamanti (ma come si lavano?). Problemi di stile e di sostenibilità

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L’altro giorno, all’ingresso della sfilata di Valentino alle antiche Fonderie Macchi di Milano – che forse entrerà nella storia per il massimo distanziamento possibile fra una seduta e l’altra –, la pr "celebrities" Noona Smith Petersen, americana di grandi ascendenze e modi sbrigativi, distribuiva mascherine Ffp2 nere agli ospiti, costringendo i recalcitranti a sostituire quelle che a suo insindacabile giudizio erano poco acconce lì in mezzo alla strada: “Sorry dear, you know how it works”. Via i foulard, via le chirurgiche, via soprattutto le mascherine “fantasia” che avrebbero stonato nelle immagini delle televisioni e del collegamento social live, benché pochi degli ospiti fossero stati così goffi da sfoggiarne una brandizzata da un marchio concorrente. Solo dispositivi sanitari seri, e solo neri, anche perché di nero si veste sempre il direttore creativo Pierpaolo Piccioli e magari ci fossimo vestiti di nero tutti pure noi, perché sarebbero risaltati meglio i vestiti della collezione in video.

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L’altro giorno, all’ingresso della sfilata di Valentino alle antiche Fonderie Macchi di Milano – che forse entrerà nella storia per il massimo distanziamento possibile fra una seduta e l’altra –, la pr "celebrities" Noona Smith Petersen, americana di grandi ascendenze e modi sbrigativi, distribuiva mascherine Ffp2 nere agli ospiti, costringendo i recalcitranti a sostituire quelle che a suo insindacabile giudizio erano poco acconce lì in mezzo alla strada: “Sorry dear, you know how it works”. Via i foulard, via le chirurgiche, via soprattutto le mascherine “fantasia” che avrebbero stonato nelle immagini delle televisioni e del collegamento social live, benché pochi degli ospiti fossero stati così goffi da sfoggiarne una brandizzata da un marchio concorrente. Solo dispositivi sanitari seri, e solo neri, anche perché di nero si veste sempre il direttore creativo Pierpaolo Piccioli e magari ci fossimo vestiti di nero tutti pure noi, perché sarebbero risaltati meglio i vestiti della collezione in video.

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Volessimo dirla tutta, la moda che vende mascherine griffate a cinquecento, seicento euro, talvolta molte decine di migliaia come nel caso scellerato e immaginiamo scomodissimo di una certa fascia orale ricoperta di brillanti di cui stanno parlando le riviste specializzate (poi ci direte come si lava, oddìo che schifo), quelle stesse mascherine tende a non indossarle. Fanno burino, fanno cheap, fanno poco serio e si sa che la moda vende vanità ma con il massimo del rigore. Dunque le produce e le vende, ma agli altri. Quelli della moda indossano invece le Ffp2, dentro le quali si respira anche meglio che con un pezzo di stoffa sempre in bocca per via del risucchio bronchiale.

 

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Durante il lockdown, quando era risultato evidente che le mascherine sarebbero diventate un business e le bocche sigillate col logo modello “Silenzio degli innocenti” con la crisalide il nuovo oggetto del desiderio dei molti a cui la moda basta sfoggiarla, con un gruppetto di colleghi fra cui un paio di direttori molto in vista e che non citiamo per affezione, ci eravamo detti “never ever”: le mascherine griffate non ci avrebbero avuti mai. Poi, alla prima sfilata in presenza, quella di Etro dello scorso luglio, ci siamo lasciati sedurre dalla fascia di seta pieghettata modello paisley che avevamo trovato, regolarmente disinfettata e imbustata, sulla nostra poltroncina. Era molto carina, e poi sarebbe stato scortese non farne sfoggio. Terminato lo show e tornati alle nostre faccende, era diventata anche un segno di riconoscimento: noi eravamo gli eroi della prima sfilata in presenza dei tempi del Covid.

  

Al decimo lavaggio, la mascherina Etro si è autodissolta come previsto, e tutti siamo felicemente tornati a quelle chirurgiche, ospedaliere, eccetera eccetera, riponendo con cura quelle arrivate successivamente, sempre in occasione di sfilate e (piccoli, piccolissimi) eventi. Il kit mascherina-disinfettante profumato-penna- viene consegnato ormai a casa con l’invito (per la sfilata in digitale, invece, niente disinfettante ma sandwich e finger food).

 

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Nel frattempo, protetti dalle nostre Ffp2 che, certo, non saranno il massimo della sostenibilità (a breve scopriremo quanto, purtroppo), ma sulle quali gli occhiali da sole si appoggiano che è una meraviglia, abbiamo osservato con interesse la nascita di decine di negozietti di mascherine fantasia. Uno ci è stato aperto proprio sotto casa, in via dei Baullari a Roma, in luogo di una botteghina di accessori a poco prezzo per turisti che iniziava ad offuscarsi di polvere. Il gestore è autctono, il materiale che vende cinese: dice che la moda dei copricellulare fantasia sta tramontando, sostituita da quella della mascherina “identitaria”. Ha studiato. Intuiamo che conosca anche lo stretto rapporto fra i due mezzi e le due intelligenze, e che ne tragga vantaggio e guadagno. Noi andiamo a comprarci un’altra Ffp2 , sperando che Adonai e Greta Thunberg ci perdonino.

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