Guida alfabetica alla settimana della moda milanese appena conclusa
Ventitre sfilate in presenza, sessantaquattro fra eventi e presentazioni, si attende il computo dei contatti social dalla Camera Nazionale della Moda, che si preannuncia spettacolare
Si è appena conclusa la settimana della moda di Milano, che si tiene dal 22 al 28 settembre e che presenta le collezioni da donna della primavera/estate 2021. Ventitre sfilate in presenza, sessantaquattro fra eventi e presentazioni, si attende il computo dei contatti social dalla Camera Nazionale della Moda, che si preannuncia spettacolare. Ecco la nostra guida alfabetica
C come calzoncini
Rieccoli, ma per restare, i grandi protagonisti delle ultime battaglie per la tutela del pudore femminile a scuola e nelle strade. Non vogliamo chiamarli shorts perché questi che abbiamo visto sfilare, anche davanti allo schermo del nostro computer, sono più aggraziati. Spesso leggermente scampanati e a vita alta, come negli Anni Cinquanta. Sono in pizzo, in cotone abbinato alla giacca (Etro), a crochet disseminati di fiori (Valentino), in pelle sintetica ma più morbida di una nappa (Ermanno Scervino: ha sviluppato internamente questo pellame speciale, leggermente più costoso di quello naturale, e Toni Scervino dice che nessuno riuscirà a imitarlo per il tempo necessario a loro di procedere oltre).
Cluster (no)
Un sentitissimo grazie a Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, per non essere caduto nel trappolone del “cluster diversity&inclusion” (tre signorine nere, due coreane, due cinesi, un trans, due no gender, una signorina molto grossa, ma una sola però), che per certe testate americane è la condicio sine qua non per scrivere la recensione e che sta trasformando le passerelle in grotteschi saggi di ipocrisia. I sessantasei modelli di Valentino, pure scovati in mezza Europa, rappresentavano quel genere di diversità che vediamo sempre più spesso perfino nelle strade italiane: quella vera. Vera al punto che, inviando all’amico parrucchiere il fermo immagine di una di queste ragazze di cui vorremmo imitare il taglio non abbiamo saputo descriverla per etnia: afro-asiatica? Sino-ghanese? Boh. Molto bella comunque. Abbiamo scritto: “quella con i capelli platino corti. Che ne pensi?”. Ha capito. Modelli alti, meno; sottili, meno; sicuri di sé, anche molto meno. Tutti hanno conservato il trucco e il taglio di capelli che già usano e possiedono, benché enfatizzato e reso impeccabile dalla mano di Pat McGrath. “Non mi piaceva l’idea di dover spuntare delle caselle, questo ce l’ho, questo mi manca”, ha detto Piccioli in conferenza stampa dopo la sfilata. Una grande dimostrazione di cuore. Soprattutto, di intelligenza (e sì, oggettivamente di quel mix di intolleranza e ottundimento delle intelligenze che stanno tornando ad essere gli Stati Uniti quattrocento anni dopo lo sbarco della Mayflower – pure ampiamente prevedibile già in origine – noi della Vecchia Europa iniziamo già a non poterne più; in Asia neanche l’hanno preso in considerazione).
G come gesto (e anche geniale)
La sfilata video di Prada, molti dei capi presentati e alcuni realizzati apposta, la donna milanese nella sua essenza: tutti sono stati definiti dal gesto delle modelle di stringersi addosso con la mano le cappe gli scialli i foulard. E’ il gesto con cui Miuccia Prada tende spontaneamente, da sempre, a chiudersi il cappotto; è il gesto delle milanesi che hanno freddo nell’umido della sera ma non vogliono nascondere il bell’abito che indossano, è insieme pudore e disvelamento (guardare a questo proposito i pittori del Quattrocento). Con un gesto, è stata definita un’intera collezione, e un modo di essere.
L come Lacci
No, non quelli del banalissimo film di Daniele Luchetti, che ancora nessuno ha capito perché mai abbia avuto l’onore di inaugurare la Mostra del Cinema di Venezia, ma quelli che saliranno attorno alle caviglie di tutte (anche di tutti, talvolta) la prossima estate. Name one, nominatene uno, e c’è: da Biagiotti a Tod’s, da Brunello Cucinelli, da Sportmax ad Armani, da giorno e da sera, larghi come nastri e sottilissimi in cuoio. Proibitivi per le caviglie non perfette.
M come media
Onore alla moda che, certo un po’ giocoforza, esplora per queste sfilate tutti i media possibili, a partire da Gucci che, in attesa della presentazione fissata per ottobre, ha inviato a stampa e amici del marchio un album illustrato da quattro delle migliori matite del momento (Margherita Morotti, Gian Marco Battistini, Flaminia Veronesi, più Melek Zertal che firma anche la cover). All’interno, storie d’amore, trasformazione, desiderio, di molti personaggi in abiti Gucci. Interessante anche la scelta di Etro, che ha accompagnato alla sfilata un progettino ad hoc mirato a sostenere le vendite di questa stagione, con la collaborazione di sei giovani talent (adesso, quando non si sa come definire quelli che fanno cose e vedono gente, si dice “talent”). Interessante la narrazione a due, di raffinato montaggio, di Prada, che presentava la perfetta fusione della creatività di Raf Simons e Miuccia Prada in una collezione destinata a restare negli annali della moda. Seducente il video girato da Ermanno Scervino in Maremma con le tre modelle più belle del momento, Irina Shayk, Natasha Poly e Joan Smalls; molto divertente il video-staffetta a più fotogrammi di Tod’s, in cui i modelli, ciascuno nella propria stanza, si davano il cambio nella presentazione. Adorabile la rappresentazione – meno i vestiti - allestita da Moschino con Barbie-Marionette mosse da fili e una fedele riproduzione di alcuni dei volti più noti della stampa di moda mondiale seduti a bordo passerella. Il video della sfilata di Giorgio Armani, anticipato da un racconto biografico narrato da Pierfrancesco Favino, era meraviglioso visto nel suo teatro di via Bergognone, con tutti i tempi giusti, gli effetti ralenti per meglio ammirare i meravigliosi vestiti, le foto di una storia che la comunità della moda serba nella memoria con affetto e partecipazione. Tutto questo, però, disgraziatamente, si perdeva nella trasposizione sul mezzo televisivo e nello sgangherato dibattito che vi ha allestito attorno Lilli Gruber, che vestirà pure Armani da sempre, ma che in tutta evidenza di moda, del suo linguaggio e perfino della sua industria capisce zero.
P come pieghe
Alla base, un rettangolo di tessuto o di pelle. E poi pieghe, nodi, drappeggi. Molti abiti di queste collezioni sono costruiti, apparentemente, con un gesto solo e nessuna cucitura.
P come piume
Quelle staccabili nelle morbide giacche di camoscio di Brunello Cucinelli, le fonne di piume di Salvatore Ferragamo, che diventano quasi da giorno indossate con le camicie di taglio maschile. Come le frange, viste ovunque, le piume sono ormai un dettaglio della quotidianità.
P come Prada
Perché quel logo tridimensionale e piegato come una rosa applicato su scolli e bordi e' una tendenza a se' e dunque merita un appunto. Nel video non si nota; nel re-see in Fondazione, i fortunati della stampa e del buying hanno potuto apprezzarlo, insieme con tanti altri particolari di questa collezione che esplora l’idea dell’uniforme sviluppandone molteplici e diverse interpretazioni: dall’”uniforme di Prada”, ormai una rappresentazione visiva di identità, di valori condivisi e accettati, di un modo di pensare, alle opere d’arte create da Peter de Potter, un collaboratore di lunga data di Raf Simons, che vi si sovrappongono esplorando pensieri e processi di costruzione dell’abito.
S come sagomatura (dei tacchi, specialmente)
Modellati come S, svincolati ma a base grossa, spesso in materiali trasparenti come sugli infradito a tacco medio in cuoio di Tod's, allacciati alla caviglia che è l'altra grande tendenza (li abbiamo visti ovunque, da Biagiotti a Sportmax)
T come trasparenze
C'e' voglia di pulizia e leggerezza, di qualcosa che faccia “effetto sano”, inevitabilmente. Dunque, organze traforate ovunque (splendide in versione camicia lunga da Fendi), chiffon.
U come uncinetto (o tricot in ogni forma)
Valentino li trasforma anche in sneaker, Cucinelli lo fa con una raffia morbida come un nastro di seta (previ lunghissimi lavaggi, si intende).
V come Verde
Nessuno sa trattare il colore più difficile di tutti (un tempo anche uno dei più costosi) come Giorgio Armani. Dalle collezioni di Milano per la prossima primavera escono un po’ di giallo, molto bianco, un po’ di glicine (perlopiù trattato malissimo), molte tinte naturali come pelle e cuoio. Poi arrivano gli azzurri polvere e i verde di Armani, maestro del colore: e sono giada, celadon, blu indaco. Colori difficili, che tanti rendono leziosi. Lui no.