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Vogue Italia e la moda senza fotografie perché fanno male all’ambiente

Simonetta Sciandivasci

Dopo le zattere di Greta, gli abiti senza immagini (o senza soldi?)

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Roma. La fotografia di moda fa male all’ambiente. Non solo alle bambine, alle donne, alle signore perfette o imperfette, ricche o povere, precoci o mature. Anzi, loro forse si salveranno, hanno molti antidoti a disposizione, il body positive, il populismo, Jane Fonda, le favole ribelli. Ma difendere l’ambiente dagli attacchi e dagli sprechi necessari a realizzare un servizio di moda, sapete, è impossibile, ragion per cui è bene smettere di farli, non immaginate quanto si risparmia. Non stiamo pazziando, ma solamente riportando ciò che Vogue Italia ha annunciato sul sito della rivista, e che il New York Times ieri ha salutato con favore. Il numero di gennaio uscirà la prossima settimana e sarà incartato in un involucro compostabile al 100 per cento e sprovvisto di fotografie, rimpiazzate da disegni, strisce e fumetti che sono assai più sostenibili, ecologicamente parlando.

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Roma. La fotografia di moda fa male all’ambiente. Non solo alle bambine, alle donne, alle signore perfette o imperfette, ricche o povere, precoci o mature. Anzi, loro forse si salveranno, hanno molti antidoti a disposizione, il body positive, il populismo, Jane Fonda, le favole ribelli. Ma difendere l’ambiente dagli attacchi e dagli sprechi necessari a realizzare un servizio di moda, sapete, è impossibile, ragion per cui è bene smettere di farli, non immaginate quanto si risparmia. Non stiamo pazziando, ma solamente riportando ciò che Vogue Italia ha annunciato sul sito della rivista, e che il New York Times ieri ha salutato con favore. Il numero di gennaio uscirà la prossima settimana e sarà incartato in un involucro compostabile al 100 per cento e sprovvisto di fotografie, rimpiazzate da disegni, strisce e fumetti che sono assai più sostenibili, ecologicamente parlando.

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Per non dire che sono assai più sostenibili da un punto di vista economico, e la Condé Nast deve fare i conti in tasca ai borderò alla stregua di tutte le case editrici della terra, e forse anche più di molte altre. Ma non maligniamo, qui non facciamo gli ingegneri, e il male comune del settore non reca alcun gaudio. Nell’editoriale del nuovo numero, il direttore Emanuele Farneti ha scritto che tutte le copertine e i servizi sono stati realizzati da artisti che hanno “rinunciato a viaggiare, spedire interi guardaroba, inquinare” e che “la sfida è dimostrare che è possibile raccontare gli abiti senza fotografarli”. Sembra che a scrivere sia Benedetta Barzini, la ex modella e professoressa e regista e teorica e femminista che da diversi anni (cinquanta, per la precisione) dice a suo figlio di voler scomparire tanto che il poverino l’ha immortalata in un documentario, e che ha dedicato la sua vita intellettuale allo studio del modo in cui gli abiti ci condizionano (abiti che, nel suo guardaroba, hanno la stessa importanza che hanno in quello di uno squatter). E invece è il successore di Franca Sozzani, il direttore di Vogue, la rivista delle riviste, quella che Carrie Bradshaw comprava al posto della cena, tanto bella e nutriente era, quella che quando la moda era la moda, e la separazione delle carriere era un magico potere del riordino che esonerava i direttori di riviste patinate dall’accodarsi ai piagnistei socio-culturali del pianeta, Condé Nast trasformò da giornale di costume a osservatorio sul futuro, tenendo sempre a mente uno strillo che servirebbe anche oggi a far bene i giornali, se solo fossimo tutti poco più ricchi. Questo strillo: “Class, not Mass”. All’epoca non inseguire i gusti del pubblico non era un lusso ma un preciso dovere.

 

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Oggi è diverso. La moda ha perso il suo ardore perché i soldi sono finiti e il padrone non è più la classe ma la massa, ecco perché Anna Wintour, un anno fa, licenziò Mario Testino e Bruce Weber, fotografi che hanno fatto l’iconografia di Vogue e della Condé Nast, perché accusati presso cancelletto di aver molestato fotomodelli; ecco perché Marie Claire per aver messo in copertina una ragazza molto magra ha dovuto scusarsi per settimane con i lettori. La moda ha dovuto attenersi alle misure dettate dagli editoriali del popolo: i Terrible Ten alle nostre spalle sono stati anche questo. E continueranno a esserlo, perché sebbene il New York Times sottolinei come il Vogue italiano stia alla ricerca come il parlamento italiano sta alle creature mitologiche, il fatto che una rivista che è sposata con la fotografia di moda vada al ballo senza il marito, d’un tratto, può voler dire soltanto una cosa: il marito non ha i soldi per il frac. Decidete voi a cosa credere, se siete in cerca di ragioni per smettere di fare la raccolta differenziata e detestare gli alberi, questa di non poter sfogliare servizi di moda su Vogue, a seconda di quanto siete vacui, è un’ottima ragione. Però non ditelo in giro, perché il ricavato del risparmio (non è dato sapere l’importo) sarà interamente devoluto alla Fondazione Querini Stampalia Onlus di Venezia, danneggiata dalla marea di novembre. La moda fa il miglior catechismo, signori.

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