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Il Foglio mobilità

“Le auto non spariranno ma usciranno dalle città”

Michele Masneri

Stefano Boeri, architetto e urbanista, analizza il futuro della mobilità: “In Italia dobbiamo essere più coraggiosi con le pedonalizzazioni e utilizzare le macchine (elettriche) soltanto per i grandi spostamenti”

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Le auto? “Non scompariranno, ma diventeranno sempre più un mezzo extraurbano, soprattutto per collegare le città non servite dall’alta velocità”. Ne è convinto Stefano Boeri, urbanista, uno dei pensatori più attenti a come stanno cambiando le città con il Covid. “Noi in studio abbiamo cercato di essere più ecologici possibile, abbiamo molte bici elettriche, io ho una Bmw ibrida per gli spostamenti fuori città e una Vespa elettrica per muovermi dentro Milano”, dice Boeri, e la città in cui è stato anche assessore, ammette, “sta già cambiando. C’è molta preoccupazione soprattutto nel mercato immobiliare degli uffici, non si sa quanti torneranno a Milano, e quanti in ufficio. Mentre il mercato residenziale sembra tenere, anche se si sta spostando. Mi dicono che stia calando per quanto riguarda il centro, mentre cresce la richiesta per zone meno centrali”.

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Le auto? “Non scompariranno, ma diventeranno sempre più un mezzo extraurbano, soprattutto per collegare le città non servite dall’alta velocità”. Ne è convinto Stefano Boeri, urbanista, uno dei pensatori più attenti a come stanno cambiando le città con il Covid. “Noi in studio abbiamo cercato di essere più ecologici possibile, abbiamo molte bici elettriche, io ho una Bmw ibrida per gli spostamenti fuori città e una Vespa elettrica per muovermi dentro Milano”, dice Boeri, e la città in cui è stato anche assessore, ammette, “sta già cambiando. C’è molta preoccupazione soprattutto nel mercato immobiliare degli uffici, non si sa quanti torneranno a Milano, e quanti in ufficio. Mentre il mercato residenziale sembra tenere, anche se si sta spostando. Mi dicono che stia calando per quanto riguarda il centro, mentre cresce la richiesta per zone meno centrali”.

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Si realizza dunque l’idea della città policentrica e “arcipelago”, che Boeri teorizza da prima del Covid: fine delle metropoli con un unico punto di incontro, a favore di un nuovo policentrismo. Anche di Ztl. “Siamo molto in ritardo su questo tema. Nel mondo si è andati molto avanti sulle zone per esempio a 30 km orari o a 10 km orari, concetti che in Italia sono ancora abbastanza esotici. E dobbiamo essere più coraggiosi con le pedonalizzazioni: possiamo prendere esempio da casi come quello di Barcellona, dove una serie di isole pedonali solo per residenti che non siano solo nel centro storico ma in varie zone. Attorno a queste isole ruota il flusso del traffico pubblico e dei privati”. La città del futuro è “la fine della mono-destinazione, con corridoi di attraversamento obbligato ed enormi centri dei commerci. Un modello che era in crisi già prima del 2019 e a cui il Covid sembra più che altro aver dato il colpo di grazia”, dice Boeri.

 

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“Anche il modello del centro commerciale, per esempio, era già in crisi da decenni”. Ma non ci sono solo i commerci. “Anche il modello dei grandi musei, con le enormi utenze, va ridiscusso”. Tutto dunque rimpicciolito e a misura di quartiere. Però così va in crisi il concetto stesso di città europea come siamo abituati a pensarla. La grandezza, la concentrazione. La comunità. “Sì, è così. E’ una sfida, una grande sfida, che coinvolge sia il ruolo del cittadino nel centro urbano, sia le città tra di loro”. I trasporti sono fondamentali. “Bisogna guardare – dice Boeri – a un modello più variabile e leggero, che prevede ci si sposti coi mezzi pubblici e poi, quando devo lasciare la città, uso l’alta velocità oppure, lì, la macchina. Macchina, beninteso, elettrica: “l’elettrico, in attesa dell’idrogeno, è un sistema che ha l’indubbio vantaggio di abbattere le emissioni. Su questo siamo molto indietro, e spero che Draghi in questo dia una svolta”. Ma rimanendo su quello che c’è già, cioè i treni veloci che collegano da anni le nostre città, l’alta velocità rimane centrale, “basta vedere cosa è successo in questi anni con le città collegate e quelle no, basta confrontare Bologna con Genova, per esempio”.

 

Anche se negli ultimi tempi è emersa la contraddizione. “Il problema è che l’alta velocità e il Covid si sono dimostrati perfettamente opposti, speculari: l’alta velocità ci aveva convinti che il movimento veloce dei corpi è fondamentale per cambiare gli assetti del territorio. Adesso invece la presenza e la rapidità dei corpi viene messa in crisi dalla pandemia: l’intensità delle relazioni non necessita più dello spostamento dei corpi. Così ora bisognerà vedere cosa succederà nei prossimi anni, se e come questi due modelli possono convivere. Ma di sicuro quello che si sta sviluppando è un modello non più transfrontaliero, per cui più che tra grandi città cresceranno i flussi verso città vicine, dalla grande città verso l’hinterland o tra città vicine”. “Noi stiamo lavorando su Padova - dice ancora - una città con una serie di eccellenze, una città universitaria, con costi molto più bassi rispetto a Milano. Oggi i centri medi sono molto più interessanti”. Anche lì, però, bisogna capire poi che fare, perché se dalla città media si esce in continuazione per andare nel centro maggiore, sono guai. Secondo uno studio dell’Università Bocconi e della Banca d’Italia, il “commuting” intenso nelle regioni lombarde è una delle ragioni dell’espandersi violento della pandemia. Bergamo, col 52 per cento dei residenti che escono ed entrano per lavoro, è la città italiana col tasso più alto di pendolarismo, e questo sarebbe correlato al diffondersi della pandemia.

 

“Non c’è dubbio”, commenta Boeri. “Anche il pendolarismo classico è da ripensare, quello legato ai cicli di lavoro dell’ufficio lontano da casa”. E insieme al lavoro, bisognerà insomma capire come il Nord si adatterà, a partire da Milano. “Che è proprio la città più in crisi, è la città dell’intensità degli scambi e degli spazi”. Già, il problema dei flussi e dei contagi: pensiamo al Salone del Mobile: siamo pronti a rinunciare a questi enormi eventi identitari, con tutto quello che comportano, per azzerare completamente i rischi sanitari? Intanto aspettiamo il vaccino. E, a proposito, che ne è delle Primule? Si è pentito di quell’idea, i centri vaccinali diventati un po’ il simbolo di tutto ciò che non andava nel passato governo? “Mah, direi proprio di no. Forse siamo stati ingenui, ecco. Ci è stato chiesto un aiuto e abbiamo fatto una proposta, abbiamo fatto del nostro meglio, un progetto realizzato completamente gratis. Di cui si è sempre mostrato solo l’esterno e mai gli interni, che erano la cosa più interessante. Adesso chissà cosa ne faranno, se li realizzeranno o no: ma non dipende da noi: noi eravamo e siamo assolutamente tranquilli”.

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