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Dal cogito di Cartesio al “Sento dunque non sono”. Le molte reincarnazioni di una generazione

Mattia Ferraresi
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New York. Daniel Mark Harrison è un tecnoevangelista ambizioso che ha scritto un libro (a sua volta ambizioso) che si propone di aggiornare il cogito cartesiano all’era dei millennial. “The Millennial Reincarnations” è un collage di racconti ambientati fra il 1990 e il 2014, il regno non tanto anagrafico quanto ideologico dei millennial, lo spazio in cui la mentalità di una generazione si è espressa al suo massimo grado, influenzando l’intera società. Lo stadio finale dell’essere umano, così come lo concepisce questa influente generazione, è: sento, dunque non sono. Il ragionamento di Harrison è questo: la capacità di pensiero, una capacità fondamentalmente astrattiva e computazionale, su cui Cartesio fondava tutto è stata messa in crisi dalla sua riproducibilità tecnologica. Ci sono macchine che possono “pensare” in un modo analogo a quello cartesiano in modo più veloce e preciso di qualunque umano. Quindi si è passati al problema contenuto nel test di Turing, portato all’esasperazione in modo sontuoso dal film “Ex Machina”: se non è la capacità di pensare, che cosa distingue l’uomo dalla macchina? Il sentire, il percepire sensazioni che non possono essere racchiuse in un algoritmo. La macchina senziente, però, non è più un miraggio da vecchio libro di fantascienza. Nella Silicon Valley ci sono schiere di ingegneri certi che sia soltanto questione di tempo, e se anche così non fosse agiscono e concepiscono l’uomo, la vita e l’universo come se il sentire non fosse il grande fossato che separa l’uomo da un suo surrogato tecnologico. Da un suo se stesso post-umano. Sento, dunque non sono è l’esito paradossale del dubbio che nemmeno il sentimento colga la peculiarità essenziale dell’umano, tanto che se il processo del sentire si dimostrasse replicabile artificialmente “capiremmo direttamente il nostro stesso meccanismo creativo, il che cesserebbe di qualificarci come umani, rendendoci una qualche forma di divinità umana (questo, dopo tutto, è ciò a cui ambiva l’illuminismo)”, scrive Harrison. L’aspetto interessante è che “The Millennial Reincarnations” non si limita a mettere in fila i dilemmi teorici o morali dell’uomo alle prese con la prospettiva (nemmeno troppo nuova) di un futuro post-umano o trans-umano, ma esplora l’influenza di questa concezione sull’oggi, sul modo in cui i millennial concepiscono il lavoro, l’economia, i legami sociali, la legge, il sesso, la conoscenza, i criteri che usano per prendere decisioni cruciali sul tipo di vita che desiderano e le aspirazioni ultime che coltivano. E’ un’indagine sulla possibilità che esista per questa generazione una dimensione metafisica pertinente che possa superare tanto le illusioni cartesiane sull’irriducibilità del pensiero quanto quelle più recenti attorno al sentire come tratto essenziale dell’umano. Non sono questioni da affidare a un algoritmo.
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