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La lezione dell'Iran alla calciatrice senza velo

Simonetta Sciandivasci

Nessun hastag di solidarietà per Shiva Amini, la campionessa iraniana bandita da tutti i campi del paese per aver giocato a Zurigo senza velo con dei maschi 

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Shiva Amini ha ventotto anni: gli ultimi tredici li ha passati a giocare nella nazionale di calcio a cinque. Se vorrà continuare (ma chi glielo fa fare?), però, sarà bene che se ne stia lontana da casa sua, in Iran, dove non potrà più né giocare né allenare. Perché è un’eretica impura profanatrice: ha osato palleggiare, senza velo, con i pantaloncini corti, con dei maschi, in un campetto di Zurigo, in vacanza, e, non avendone abbastanza, si è anche fatta fotografare, ha condiviso lo scatto su Facebook, ha creduto – questo il crimine massimo – che non ci fosse niente di male. “Vivi in un paese islamico, come hai potuto giocare con degli uomini?”, le hanno detto i signori della federazione calcistica iraniana, dopo averla bandita da tutti i campi del paese, chissà se per sempre o ad interim, e non conta né che sia una campionessa (ha giocato nella nazionale femminile iraniana per quattro anni), né che gli iraniani la amino molto, né che su quel campetto svizzero non stesse rappresentando nessuno se non la sua persona. Il corpo di una donna, però, è sempre latore di un peccato e un peccato è sempre un fatto pubblico, dunque proibito sia il giuoco a colei che ha osato ritenere di essere padrona di sé stessa, almeno in vacanza. Sulla vicenda, le rompitrici di silenzio non hanno speso né vocali né hashtag.

   

Non l’ha fatto neanche quella di loro che, da una disegnatrice iraniana – ma tu guarda le coincidenze –, è stata ritratta in posa combattente, aureolata da un motto contro la violenza sulle donne e che in queste ore chiede, a tutela della propria immagine, di non abusare di quel ritratto, che logo della guerra al patriarcato è e deve rimanere. Non un fiato neanche dalla disegnatrice iraniana. Non che servirebbe, intendiamoci. Per ora, a Shiva Amini ci pensa Shiva Amini.

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