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I call center

Andrea Ballarini

Chi non si è mai sorbito interminabili musichette nevrotizzanti? Chi non ha mai digitato tasti su tasti senza arrivare al dunque? Chi non ha mai sperato di arrivare a parlare con qualcuno da insultare? Per fortuna questa puntata del Manuale vi insegna cosa pensare, e soprattutto cosa dire, dei call center.

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- Odiarli.

- Sono il grado zero della comunicazione umana, appena sopra i veejay, gli slogan elettorali e i libri di coaching motivazionale.

- Al quarto “Se desidera, premere…” desiderare solo che ci sia anche l’opzione “Se desidera insultarci resti in linea, un operatore risponderà entro pochi secondi.” Convenirne.

- Avamposti dello sfruttamento dei lavoratori. Deprecarli.

- Sono tutti delocalizzati in India e in quei paesi dove il lavoro non costa nulla. Obiettare che a voi ha risposto una ragazza dallo spiccato accento calabrese. Replicare che le multinazionali sono subdole e istruiscono gli operatori affinché sembrino italiani.

- “La Lombardia deve avere un call center con lavoratori lombardi, che conoscono il territorio” (Stefano Galli, capogruppo della Lega Nord alla Regione Lombardia)

- Ogni operatore dei provider telefonici dice quello che gli passa per la mente in quel momento. Non c’è verso di ottenere due volte la stessa risposta alla medesima domanda. Dolersene.

- Sostenere che gli operatori ripetono a pappagallo la lezioncina imparata, ma quando devono chiedere ai loro capi ti lasciano in attesa delle mezz’ore con musichette scarnanti che quando sembrano essere arrivate alla fine ricominciano all’infinito. Dolersene.

- La cosa più importante è scrivere subito il numero dell’operatore, così da sapere con chi prendersela nel caso di risposte a vanvera. Di seguito dissertare sulle guerre tra poveri.

- Dovrebbero essere un servizio per i clienti, invece servono a rendere di fatto inavvicinabili le aziende. Minacciare class action e/o sproloquiare sulla mancanza di una vera cultura del customer care in Italia.

- Essere comprensivi nei confronti degli operatori, perché otto ore al giorno di quella vita è quanto di più simile a una tortura medievale.

- Scagliarsi furiosamente contro gli operatori, benché consapevoli che loro non c’entrano, perché quando uno è esasperato è esasperato.

- Detestare lo sguardo interrogativo dei colleghi d’ufficio mentre parlate con un software a riconoscimento vocale e scandite le parole come vostra nonna novantenne quando riceve una telefonata interurbana.

- Mai rispondere al telefono fisso, perché è sempre qualcuno che cerca di vendere qualcosa. (Vedi seguente)

- Essersi iscritto al registro delle opposizioni, ma ricevere ugualmente telefonate da ditte che cercano di rifilarvi un trattamento antiacari a soli ottocento euro, perché tanto quelli se ne fottono. Tuonare contro.

- Citare il call center di “Tutta la vita davanti” per definire un posto di lavoro allucinante. Sabrina Ferilli, bravissima nella parte della capa stronza.

- Notare che nei film tutti gli operatori di call center sono laureati in fisica nucleare, geologia o germanistica in attesa di un lavoro adeguato alle loro competenze.

- Esperimento. Interrompere un operatore di telemarketing per vedere se riprende esattamente dallo stesso punto e con identico tono di voce. Constatarlo e restarne scioccati.

- “Non sarei mai sopravvissuto a fare il gangster! (No!)/ Non sarei mai sopravvissuto al call center!” (da “Meglio che morto” dei Club Dogo)

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