Elizabeth Holmes ha fondato Theranos nel 2003 (LaPresse)  

startup in tribunale

Silicon crac. È iniziato il processo contro Elizabeth Holmes

Eugenio Cau

 Fino al 2015 sembrava uscita da una favola tecnologica. La ragazzina in dolcevita, con un carisma fuori dal normale, prometteva miracoli e voleva cambiare la medicina. Ma era una truffa

Fino all’autunno del 2015 Elizabeth Holmes era una delle donne più ammirate di tutta l’industria americana. Ad appena 19 anni, nel 2003, Holmes aveva fondato Theranos, una startup rivoluzionaria, che prometteva miracoli nell’ambito sanitario e che nel giro di pochi anni era diventata una delle più ricche e amate del mondo, con investitori famosi e sostenitori nella politica. Holmes era diventata una delle più giovani miliardarie del mondo, era su tutte le copertine delle principali riviste di business ed era osannata come la nuova Steve Jobs. Poi arrivò l’autunno del 2015, quando un giornalista del Wall Street Journal rivelò al mondo, con le prove, che la startup di Holmes era una truffa. Che il suo prodotto, semplicemente, non funzionava, non aveva mai funzionato e non c’era speranza che l’avrebbe fatto in futuro. Il crollo di Theranos – e di Holmes, di conseguenza – fu rapidissimo e devastante: l’azienda, da “unicorno” (allora andava di moda chiamare così le startup che valevano almeno un miliardo di dollari, e Theranos ne valeva una decina) divenne la più grande truffa della storia della Silicon Valley, e il crollo aprì una serie di procedimenti legali che si sono dilungati fino alla settimana scorsa, quando infine è cominciato il processo a Holmes.

 

È un processo seguitissimo, perché è un processo non soltanto contro Holmes, ma contro tutta la Silicon Valley e contro l’affanno spasmodico di un’industria che deve trovare a tutti i costi il nuovo Steve Jobs, anche quando è un truffatore. Inoltre, se la storia di Holmes e della truffa tecnologica del secolo non fosse già abbastanza notevole, il processo si preannuncia come avvincente e combattuto: tra le altre cose, perché il database con l’archivio dei pazienti di Theranos, la prova che secondo l’accusa avrebbe dimostrato in maniera indiscutibile la truffa di Holmes, è stato cancellato – e non si può più recuperare. Fino all’autunno del 2015, la storia di Elizabeth Holmes sembrava uscita da una favola tecnologica. Giovanissima e talentosa, Holmes aveva fondato una startup che prometteva di fare una cosa che nessun altro al mondo era mai stato in grado di fare: realizzare centinaia di analisi mediche, anche le più complesse e delicate, a partire da una sola goccia di sangue. È noto il tedio di andare in clinica e farsi prelevare cinque, dieci o perfino quindici provette di sangue, a seconda della complessità degli esami. Ma quello che gli altri fanno con quindici provette di sangue, Holmes prometteva di farlo con una goccia, e di fornire risultati accurati per oltre 200 analisi, dal colesterolo al cancro. Per farlo, Holmes aveva ideato una macchina con un nome evocativo (Edison), che oltre a compiere miracoli scientifici aveva il design di un computer Mac ed era anche poco più grande di una scatola da scarpe, mentre spesso le macchine per le analisi del sangue sono brutte e molto ingombranti.

 

Come scrisse John Carreyrou, il giornalista del Wall Street Journal che svelò da truffa di Theranos, in un libro uscito qualche tempo dopo (“Una sola goccia di sangue. Segreti e bugie di una startup nella Silicon Valley”, Mondadori) il fatto che Edison non funzionasse (al suo meglio, la macchina riuscì a fare soltanto qualche analisi elementare, e comunque con dei tassi di errore che facevano sballare i risultati) era compensato dall’eccezionale carisma di Holmes, che nei primi tempi della startup, non ancora ventenne, riuscì a convincere persone famose ed esperte a sostenere il suo progetto dapprima con centinaia di migliaia e poi con milioni di dollari. Tra questi Henry Kissinger e John Schultz, due ex segretari di stato americani, Betsy DeVos, una nota imprenditrice che è stata anche segretaria all’Educazione sotto Donald Trump, e perfino James Mattis, generale a quattro stelle, ex comandante delle forze americane in Afghanistan e Iraq ed ex ministro della Difesa. Mattis è un militare celebrato e uno stratega sofisticato, che si era guadagnato sul campo nomignoli come “Cane pazzo” e “Monaco guerriero”, ma anche lui si fece convincere a investire una bella somma in quella che poi si sarebbe rivelata la truffa di Elizabeth Holmes.

 

Questo avvenne non soltanto perché, se è vero ciò che scrive Carreyrou, Holmes ha un carisma fuori dal normale, capace di convincere uomini e donne con quarant’anni di esperienza più di lei a finanziare i suoi progetti, ma anche perché in quel periodo negli Stati Uniti l’ansia di trovare (o la paura di perdersi) la prossima startup miliardaria era spasmodica. In quegli anni, Google era già diventato un gigante e di lì a poco sarebbe esplosa la startup di un ragazzo di Harvard in ciabatte Nike. Quando la prospettiva era quella di guadagnare miliardi, perché non rischiare di buttare qualche milione in startup dalle idee folli ma promettenti? Holmes contribuì a fornire l’impressione giusta facendo di se stessa il prototipo della “founder” carismatica, cioè della fondatrice di startup capace di creare sogni tecnologici. Cominciò a indossare esclusivamente maglioni dolcevita neri, come Steve Jobs, e secondo un pettegolezzo riportato da Carreyrou (occhio però: lui stesso la riferisce come una diceria che circolava tra i dipendenti dell’azienda) la voce molto profonda di Holmes, quasi da baritono, sarebbe una finzione: Holmes avrebbe una voce più alta e squillante, ma decise di fingere di averla bassa e profonda dopo aver capito che i ricchi investitori con cui aveva a che fare, tutti maschi, erano più propensi a fare affari con una ragazza se quanto meno la ragazza aveva la voce che ricordava quella di uomo.

 

La storia di Theranos – per come l’hanno raccontata prima Carreyrou e poi molti altri che si sono occupati della vicenda – è al tempo stesso eccezionale e famigliare. Dentro all’azienda in tantissimi sapevano che Edison non funzionava, e che le poche volte che funzionava i risultati delle analisi erano sballati. Nel 2012, Theranos annunciò una partnership con una famosa catena di supermercati per cominciare a commercializzare le sue analisi del sangue. Ma siccome Edison non funzionava, Theranos comprò delle macchine per le analisi commerciali e le modificò per farle funzionare con una goccia di sangue soltanto. Le macchine commerciali, però, sono fatte per analizzare molto più sangue, e finivano anche loro per dare risultati tutti sballati. D’altro canto, tuttavia, sono tantissime le startup tecnologiche che hanno presentato un progetto non funzionante definendolo come finito e pronto alla commercializzazione. Secondo la leggenda, lo fece anche Steve Jobs all’inizio di Apple, con qualche Mac: la differenza è che Edison non è mai riuscito a funzionare, i Mac invece sì. Quando Carreyrou svelò che Theranos era una truffa, le cose crollarono rapidamente. Holmes tentò di difendere la sua startup, ma invano.

 

Il valore di Theranos passò da 10 miliardi di dollari a zero nel giro di poco tempo, e anche la ricchezza personale di Holmes, che era tutta legata alle sue quote di Theranos, si azzerò. Cominciarono anche immediatamente le procedure legali, e almeno all’apparenza il caso di Theranos sembrava il sogno di ogni procuratore americano: una grande truffa che ha messo in pericolo la salute dei cittadini americani, una vicenda esemplare di hybris punita, e un perfetto capro espiatorio in Elizabeth Holmes, con la sua voce finta e il suo guardaroba scopiazzato. Ma il processo che si è aperto la settimana scorsa è eccezionalmente più complicato per l’accusa: benché la truffa di Theranos sia piuttosto esplicita, provare la colpevolezza di Holmes non è affatto facile: non soltanto perché durante le deposizioni iniziali, un paio di anni fa, nel giro di poche sedute pronunciò le parole “non so” e “non ricordo” più di 600 volte. La difesa di Holmes si basa su due pilastri. Il primo è che Theranos non è stato una truffa, ma una scommessa imprenditoriale andata male: “Il fallimento non è un crimine”, ha detto la difesa il giorno dell’apertura del processo. Il secondo è che Holmes sostiene di essere stata plagiata da Ramesh “Sunny” Balwani, un manager cinquantenne che lei stessa nominò presidente di Theranos e con cui ebbe una relazione segreta negli ultimi anni di vita della startup. Balwani, che è sottoposto a processo separatamente, era molto più grande di Holmes e, secondo la difesa, aveva il controllo di tutte le questioni operative di Theranos, di cui lei era tenuta all’oscuro. Inoltre, la sua influenza su Holmes era tale che l’avrebbe costretta ad azioni contro la sua volontà. All’inizio del processo, Holmes ha fatto sapere di aver subìto abusi sessuali ed emotivi da Balwani.

 

Per capire com’erano divise le responsabilità dentro a Theranos, basterebbe guardare la documentazione della startup. Il problema – ed è questa la grana più grossa per la procura – è che è almeno in parte andata perduta. In particolar modo, all’accusa manca un importante database che conteneva i dati e i risultati dei test di tutti i pazienti di cui Theranos aveva effettuato le analisi del sangue. La startup diede ai procuratori una copia cifrata del database nel 2018, poi fece smantellare i suoi server, cancellando tutti i dati. Di lì a poco fallì. Quando però i procuratori tentarono di accedere al database, si accorsero che mancava una password, e che dunque i dati erano inaccessibili. I procuratori non sono mai riusciti a ottenere l’accesso e accusano Theranos di aver cercato di eliminare le prove, mentre la difesa sostiene che sia stata la procura a essere disattenta. Il database era importante perché costituiva l’unica raccolta completa delle performance di Theranos nelle analisi del sangue, e in pratica è la prova definitiva che il prodotto della startup non funzionava. Inizialmente la difesa aveva cercato di usare la sua mancanza per impedire all’accusa di chiamare a testimoniare persone che avevano ricevuto risultati di analisi sbagliati, sostenendo che senza il quadro complessivo dato dal database queste testimonianze sarebbero state aneddotiche e irrilevanti. Si tratta di testimonianze potenti: alcune persone hanno ricevuto da Theranos diagnosi sbagliate del test Hiv, mentre a una donna incinta fu comunicato per errore che aveva avuto un aborto.

 

Il giudice, alla fine, ha consentito le testimonianze dei pazienti, che però non possono parlare dei danni fisici o emotivi che hanno subìto a causa della condotta di Theranos. Ci sono state anche aspre discussioni sulla composizione della giuria (come avviene relativamente spesso nei processi americani), perché la difesa ha richiesto che nessuno dei giurati abbia seguito negli ultimi anni la copertura mediatica su Holmes e Theranos – ed è stato difficile trovarne, trattandosi di un caso estremamente noto. Il processo, finora, è stato al tempo stesso combattuto ma anche pieno di aspetti tecnici, come una tediosissima analisi delle finanze della startup. Le udienze dureranno ancora per mesi. Holmes rischia fino a 20 anni di prigione.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.