Dalla mostra su Playmen al Macro di Roma

il foglio del weekend

Sesso e volentieri

Michele Masneri

Storia di Playmen, la rivista  italiana più patinata e più eccitante. Voleva imitare l’americana Playboy. Trionfò con uno scoop su Jackie Kennedy nuda a Skorpios. Chiuse nel 2001. Una  mostra la racconta

Non è chiaramente un buon momento per il sesso. In questa fase di fiacca, in cui la massima trasgressione ha ormai a che fare con fughe a Pasqua e Pasquetta verso parenti e amici che normalmente si sarebbero evitati, mentre se dici  “ho fatto il test”, espressione che una volta evocava bestiali rischi venerei, ora invece ti rispondono "molecolare o tampone?", passare da zona rossa a luci rosse è soprattutto un fatto di memorie. Al terzo lockdown, tra prime e seconde case e nuovi divieti pasquali, tocca rivedere anche questioni di letto.

 

E basta aprire le app dedicate per vedere che dove una volta si pubblicizzavano  anatomie guizzanti, adesso all’apice della catena alimentare c’è chi esibisce garanzie vaccinali certificate. Si tende a non fidarsi più: gli sconosciuti hanno perso ogni fascino; lo straniero  da risorsa, da simbolo della trasgressione turistica soprattutto nelle nostre belle città d’arte e d'acchiappo è diventata una figura inquietante e patetica. Portatrice di alterità, e Dio non voglia, di droplets. Così tornano di gran moda invece fuckbuddies fidati/e, che magari si erano snobbati/e a lungo e ora tocca ricicciare. Soprattutto ambitissimi/e poi se appartenenti a categorie “a rischio”, per priorità vaccinale, dunque a seconda di regioni e comuni: insegnanti in Dad e non, medici, notai, sacerdoti, magistrati della giusta corrente, caregiver, ultraottantenni. Per chi può, meglio aspettare.  L’orizzonte delle attese è fissato all’ arrivo, agognatissimo, del Johnson and Johnson, il vaccino, sempre per rimanere in tema, da “una botta e via”.

 

Per ora, anche da fruitori passivi, si nota anche la penuria di scandali sessuali. Pure in un settore storicamente aduso come quello dell'intrigo internazionale, la nostra spia di Spinaceto, il militare che passava i segreti ai russi, delude assai. Intanto, colto sul fatto, non ha reagito come un eroe di Le Carré o di John Grisham, ma ha subito strillato “a me m’ha rovinato er Covid”, come un personaggio di Sonego e Sordi. Si è lamentato di non poter pagare le svariate abitazioni e “le palestre” ai figli: è appunto un caso di crisi sistemica, di redistribuzione, di impoverimento (neoliberale, aggiungerebbe qualcuno).

 

E comunque non certo di sesso. Anche la politica, con l’integerrimo Draghi e i silenti portavoce, non dà nessuna soddisfazione.  Per fortuna c’è la tv. Meglio puntare dunque sulle commissarie disinibite alla Lolita Lobosco, il personaggio nato dalla penna di Gabriella Genisi poi trasfigurata in una serie di massimo successo su Rai 1. Dove appunto la commissaria, dopo un lungo periodo a Milano (dove si è disinibita, pare di capire), torna nella Bari natìa risolvendo casi complicati e scontrandosi col più vieto sessismo.

 

Intanto però pochi ricorderanno lo scandalo di dieci anni fa, quando Genisi pubblicò un curioso romanzo, "Il pesce rosso non abita più qui", storia d'amore e sesso tra una cassiera e un politico del governo Berlusconi. In lui, a molti parve di riconoscere il ministro Sandro Bondi, il placido ministro-poeta di Forza Italia. Parve di riconoscerlo anche alla di lui prima moglie  (disse di riconoscere certi dettagli, come certe saponette a forma di limone comperate a Positano - sic - e il quadro di Santa Caterina sul letto e  le foto autografate di Berlusconi sul comò).

 

La Genisi ha sempre affermato trattarsi di  personaggio inventato, teoria confermata dallo stesso Bondi. Ma l’allora direttore del "Giornale" Mario Giordano non era d’accordo: “E dunque, scesi a livello di pornografia, ormai, tutto è lecito”, scrisse. “Anche mettere alla berlina un ministro, salvo poi dire che è tutta un’invenzione letteraria. Ma come? Se il personaggio politico è descritto per filo e per segno”. Ecco le infinite possibilità della narrativa regionale italiana (e come già avvertiva Arbasino, “prenderlo in quel posto a Dallas, mentre Kennedy viene assassinato, è un conto; un altro è farlo a Brescia mentre cade un governo Fanfani”).

 

Ma proprio i Kennedy (e anche un po’ Bari) hanno avuto un ruolo non secondario nella più rilevante saga nostrana del sesso, almeno in senso editoriale. Quella della rivista “Playmen” (1967-2001), che riscosse massimo successo nell’affannata e arrapata Italia del Dopoguerra. Un libro e una mostra adesso ricostruiscono l’epopea di questo magazine che a un certo punto registrò massima esposizione anche grazie alle scandalosissime foto della vedova d’America che ignuda usciva dalle acque proprietarie dell’isola di Skorpios. Davanti e dietro, ferma e in movimento, con accanto (ma tagliato, per fortuna), Aristotele Onassis, fu un servizio che rese celebre Playmen, rivista fondata appunto dalla barese (ma c’è chi dice di Manfredonia) Adelina Tattilo, straordinaria figura di editrice erotica ma non solo, sicuramente liberal e liberale nell’Italia bacchettona di metà novecento.

 

Una mostra al romano museo Macro  diretto dal giovane Luca Lo Pinto esplora  la storia di questo magazine nato come imitazione del più celebre Playboy inventato in America negli anni Cinquanta. “Una rivista che rivoluziona le vecchie concezioni, mischiando, spudoratamente, il diavolo e l’acqua santa, l’erotismo e la letteratura, la battaglia per un nuovo costume sessuale e l’apertura alle nuove correnti culturali”, racconta in una delle interviste Pier Francesco Pingitore, sì, quello del Bagaglino, che fu a lungo redattore della rivista; insieme a collaboratori prestigiosi e insospettabili come Luciano Bianciardi, lo psicanalista Emilio Servadio, Dacia Maraini, Oreste del Buono, Cesare Zavattini. Maurizio Costanzo vi scriveva di teatro.

 

“Cercavamo di differenziarci dal Playboy americano – perché quello era il riferimento iniziale, e il direttore Luciano Oppo voleva che le ragazze fossero diverse da quelle americane”, dice Mauro Piccini, grafico e storico illustratore di Playmen. Le nostre erano reali, se ce n’era una  con un piccolo difetto non lo correggevamo. Quelle di Playboy erano irraggiungibili, erano talmente perfette! E forse il successo di Playmen era dovuto anche a questo. Perché erano ragazze che si potevano incontrare per strada, o nei salotti romani”.

 

A proposito di salotti romani, quello Tattilo era uno degli avamposti del craxismo a Roma. “Con le più conturbanti fotomodelle d’Italia”, ricorda Filippo Ceccarelli in “Il letto e il potere” (Longanesi), capitolo “Craxismo afrodisiaco”. La Tattilo è insieme a Sandra Milo una presenza fissa dell’empireo craxiano.  “A Verona, in un congresso che l’estro di Panseca aveva trasformato in una sorta di discoteca con tanti specchi, la Milo appariva ridente insieme con la Tattilo:  'Minigonne vertiginose, golfini leopardati tiratissimi: un operatore e un fotografo curiosi', ha ricordato Barbara Palombelli,  immortalarono le mutandine delle due signore”. Ma la storia sessuale di Playmen arriva da lontano: il marito Saro Balsamo, con cui Tattilo fonda la rivista, fu, all’inizio della sua carriera, addetto stampa di Aïché  Nana, la  ballerina turca protagonista del leggendario spogliarello che desta grande scandalo a Roma nel '58 e dà inizialmente vita alla cosiddetta Dolce Vita.

 

I due divorziano presto, e Tattilo diventerà la regina incontrastata di questa avventura editoriale, una Larry Flint italiana, amata dai socialisti, che a differenza dei democristiani e dei comunisti coltivavano la spinta liberale e libertaria, oltre che godereccia. Lei appare varie volte in tv a “Bontà loro” di Costanzo, dove viene aggressivamente attaccata da Gabriella Ferri e dalla socialista Anna Orlandi. Ma non c’è solo Playmen. Nel 1970 nascono i “Playbook” di Tattilo editrice. E poi monografie. Un “Playdux. Storia erotica del fascismo”, nel 1973. Nel ‘74 la rivista “Libera”, dedicata alle donne (subito invisa alle femministe). Falliscono invece i piani di espansione estera: una rivista “Adelina” in Usa fallisce nel 1980. Stessa sorte per un Playmen turco nel 1986. Poi arriveranno le tv private, e soprattutto i Vhs. Nel 2001 la rivista chiude definitivamente.

 

Il saggio “Homo eroticus. Cinema, identità maschile e società italiana nella rivista Playmen. 1967-1978” di Gabriele Rigola (Rubbettino) considera soprattutto quel periodo. Il ‘67 è l’anno del suicidio di Luigi Tenco ma anche quello in cui fa  notizia che “sette donne, in Italia, vincono il concorso per diventare capostazione”. Il ‘78 invece è l’anno dell’inizio ufficiale del porno in Italia: il Majestic di Milano è il primo cinema a luci rosse. Viene girato il primo film, “Sesso nero”, di Joe D’Amato, nome d’arte del romano Aristide Massaccesi. Ma nel ’78 ci sono anche il rapimento e delitto Moro, la legge Basaglia, la fondazione di TeleMilano. Proprio le tv private, insieme allo sdoganamento del porno vero nelle edicole, e alla diffusione del Vhs, porterà al lento declino della rivista. Che però fino agli anni ’80 va benissimo: 300.000-400.000 copie vendute, con picchi di 450.000. Il pubblico è prevalentemente maschile, “impiegati, professionisti e operai, con istruzione media e per lo più collocati in aree geografiche del Nord Italia, ma con segmentazioni di interesse e fruizione decisamente varie”.

 

Le interviste, come si vede nella mostra al Macro, vedono figure come Herbert Marcuse, Andy Warhol, Jean Paul Sartre, Bernardo Bertolucci, Marshall McLuha, Federico Fellini, Peggy Guggenheim. “Non si parlava soltanto di sesso! C’erano tantissimi articoli importanti che spaziavano su tutta quella che era l’attualità culturale internazionale. In questo senso era un giornale molto meno provinciale di Playboy. Playboy era il riflesso della società americana riprodotta a immagine e somiglianza di Hugh Hefner e del suo modo di vivere. A mio giudizio, Playmen era un giornale molto più libero e anche molto più ambizioso”.  Sempre Pingitore. Di sicuro fu un grande fenomeno di costume. Dopo lo scoop con Jackie Kennedy la rivista diventa celebre in italia. Nel film “Il comune senso del pudore”, scritto proprio da Sonego e Sordi e uscito nel '76, nel secondo episodio Florinda Bolkan interpreta l'editrice della vendutissima rivista erotica “La libertà”, che cerca un nuovo direttore, dato che i precedenti sono stati tutti arrestati per oscenità, e lo trova nell'ignaro scrittore di provincia Cochi Ponzoni, entusiasta per quella nuova avventura.

 

Una storia, quella di Playmen, in cui   il nudo è protagonista, naturalmente, femminile ma non solo. C’è il paginone centrale e c’è la ragazza-copertina. C’è soprattutto l’idea che tutto è raccontabile attraverso il sesso. Coi migliori fotografi, in primis Angelo Frontoni.  Ma ci sarà anche un bizzarro “posato” di John Paul Getty III, l’erede petrolifero rapito a Roma, e qui discinto nel servizio intitolato “Il ribelle del petrolio”. E se il progetto iniziale molto patriarcale di Playmen era quello di realizzare un periodico costituito da "belle donne incastonate in una rassegna-caleidoscopio di piaceri e lussi maschili: abiti, profumi, whisky, cuoi, orologi, fucili da caccia, auto, moto, quadri, libri”, in realtà poi il tutto slitta quasi subito a inglobare le nuove correnti che scorrono nell’immaginario erotico italiano.

 

Anche le pubblicità raccontano un paese attaccato disperatamente a un certo machismo di facciata. Ecco  la lama “Superinox Bolza, studiata apposta per la barba italiana”; (“la vostra è una barba virile? Dura, fitta, come l’abbiamo noi italiani? Allora una lama fatta apposta è nella logica delle cose”). O la colonia “Agua Brava” così  "brutalmente maschia" e “ruggente”, maschia, stimolante”. O ancora, la “Super Crema Muscol Cream”, ma intanto arrivano i muscoli veri,  che metteranno in crisi tante certezze. Nell’agosto 1975 ecco marinai palestrati, uomini in gilet di pelle e a torso nudo, e addirittura “un particolare di un pene”. Le didascalie richiamano il “grande revival dell’uomo-muscolo, che va in palestra, fa la sauna, solleva i pesi”, ma pongono al centro anche il corpo mediatizzato di questi nuovi maschi, i quali “indossano magliette da svenimento, che pongono in risalto proprio tutti i muscoli, e specialmente quello fino a ieri tenuto gelosamente al riparo dallo sguardo”.

 

Nascerà anche uno spinoff, “Adam”, dedicato al pubblico gay, anche quello di gran successo. Non sempre i lettori sono contenti: nella (lettissima) rubrica delle lettere di Playmen arrivano improperi di ogni genere nel Paese alle prese col senso del pudore. Nel luglio ’68, mentre il mondo sta cambiando, una mamma scrive: “ho trovato negli indumenti di mio figlio la vostra rivista. Sono indignata, schifata, che possa esistere una cosa come voi, che siete anche voi, magari, padri e madri. Vergognatevi. Vergognatevi. Che Dio vi maledica, voi e tutta la vostra famiglia. Se vi viene un cancro e dovrete soffrire, ricordatevi che è stato l’augurio delle mamme. E le maledizioni delle mamme, state tranquilli, prima o poi, raggiungono lo scopo”. A parte la jettatoria genitrice, la storia di Playmen arriva dritta dritta fino a oggi: solo due anni fa, la villa Tattilo in Sardegna, confinante con la Certosa, è stata comprata da Berlusconi, intenzionato ad allargarsi. (agli eredi, anche di quell'avventura, Orsetta e Federico Balsamo, si dice sia andato un milione e rotti a testa).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).