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Liberale integrale

Antonio Donno

Il pensiero di John Hallowell e la sua critica radicale alla filosofia del New Deal. Per trovare le origini della crisi del Novecento

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Quando, nel 1954, Friedrich A. von Hayek pubblicò Capitalism and Historians, opera che smantellava il mito storiografico del peggioramento delle condizioni delle classi più povere in conseguenza della nascita del capitalismo, i liberal americani insorsero. Tra di loro, il più accanito oppositore dell’opera di Hayek fu Arthur M. Schlesinger, Jr., che bollò il libro con queste parole: “Gli americani […] hanno già abbastanza guai con i McCarthy nostrani senza dover importare professori viennesi per aggiungere lustro accademico a questi eventi”. Il commento era certamente offensivo, ma, al di là di questo, la reazione isterica di Schlesinger dimostrava che il vento stava cambiando nel mondo intellettuale americano. Una nuova corrente di pensiero stava erodendo la fortezza, che sembrava fino a quel momento inattaccabile, del liberalism del New Deal. In realtà, già durante gli anni di Roosevelt la Old Right americana aveva cercato di opporsi allo strapotere dei sostenitori del New Deal, cioè dell’intervento dello stato nell’economia e del progetto di indirizzare la società americana secondo formule centralistiche, volte ad assicurare un presunto “bene comune”. Di questa nuova visione si fece portavoce, prima di tutti, John Dewey, che in Individualism Old and New sosteneva: “Un individualismo nuovo può essere raggiunto solo attraverso l’impiego controllato di tutte le risorse della scienza e della tecnica che hanno ridotto in soggezione le forze fisiche della natura”.

 

A questa filosofia si opposero molti sostenitori del “vecchio” individualismo, quell’individualismo che era stato la base concettuale del liberalismo delle origini e che può essere riassunto nella formula “la sovranità dell’individuo”, come scrisse il grande anarchico americano Josiah Warren. L’accusa che i “vecchi” individualisti rivolgevano ai “nuovi” individualisti consisteva nel considerare l’individuo un oggetto di manipolazione, secondo una concezione positivistica applicata all’essere umano. Uno dei massimi esponenti di questa intransigente opposizione culturale, insieme a Russell Kirk, fu John H. Hallowell (1913-1991), professore di Scienza politica alla Duke University. Secondo Hallowell, i positivisti ritengono che gli uomini siano essenzialmente irrazionali e quindi hanno bisogno di una mano razionale che li indirizzi nella vita sociale. Il giudizio su questa concezione era senza appello: “Implicito nel positivismo è un nichilismo molto vicino, se non identico, al vangelo del cinismo che ha prodotto la mentalità del fascismo”, scrisse Hallowell in “Politics and Ethics”, articolo del 1944. Al contrario, sosteneva Hallowell, ponendosi in quel frangente alla testa del movimento conservatore americano, la politica deve valorizzare le scelte individuali e la funzione dello scienziato politico è di interpretare il movimento sociale, cioè il flusso delle libere istanze individuali. Le scienze sociali, invece, avevano preso un indirizzo opposto alla libertà individuale.

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I nuovi scienziati, considerando l’individuo e la società come le scienze naturali valutano i fenomeni naturali, avevano elaborato le “leggi” del progresso sociale, un progresso reputato automatico, irreversibile e inevitabile. Era la filosofia del New Deal. Hallowell opponeva la visione della tradizione americana: “La carenza sia del liberalism sia del marxismo si rivela nella loro ignoranza o sottostima della dimensione spirituale della natura umana, nella loro incapacità di comprendere” (e qui Hallowell cita Toynbee) “la libertà dell’uomo che trascende sia i processi naturali sia quelli storici nei quali è coinvolto” (Main Currents in Modern Political Thought, 1950). La fede nella libertà dell’individuo, base del pensiero dei Padri Fondatori, era il prodotto di una fondamentale istanza morale derivata dalla cultura della cristianità. I liberal erano “satolli di potere dai tempi del New Deal ed […] erano afflitti dal dubbio e da ciò che un osservatore definì il ‘travaglio della ridefinizione’”, ha scritto George H. Nash, con una punta di ironia, nel fondamentale The Conservative Intellectual Movement in America since 1945 (1996).

 

Hallowell, al contrario, era tetragono nell’affermare: “E’ la fede nell’assoluto valore morale dell’individuo che impedisce all’uomo di venire sommerso, se non annullato, da una concezione della razza, della classe, della nazione o di qualche altra collettività che consideri il singolo come un mezzo piuttosto che come un fine in se stesso” (The Moral Foundation of Democracy, 1954). Contestazione radicale della filosofia del New Deal. In opposizione al liberalism newdealista, Hallowell proponeva il ritorno al liberalismo integrale, quello dei Padri Fondatori della nazione americana, cioè “la fede secondo la quale vi è una sfera di diritti, peculiari a ogni individuo in quanto essere umano, nella quale lo stato non può penetrare e per la preservazione della quale lo stato esiste. Questi diritti possono essere ritenuti i criteri di un liberalismo integrale” (The Decline of Liberalism as an Ideology, 1943). Il liberalism del New Deal aveva, di fatto, annullato questa fiducia. Il positivismo implicito in questa forma strumentale di liberalismo aveva avuto l’effetto di incoraggiare gli uomini ad abbandonare la fede nei valori oggettivi dell’esistenza umana e a ritenere che i diritti dell’uomo non fossero più antecedenti allo stato, ma da esso forniti all’individuo.

 

Il vero liberalismo, quello integrale, invece, è l’espressione politica dell’individualismo: “Il liberalismo nella sua forma integrale, perciò, partendo dalla premessa dell’assoluto valore della personalità umana, richiede libertà per ogni individuo da qualsiasi autorità che sia personale, o irrazionale, o arbitraria”. La logica positivistica, applicata meccanicamente all’individuo, aveva dato vita a un pensiero scientista, che aveva sradicato i giudizi di valore come giudizi assoluti: “I giudizi di giusto e ingiusto, buono e cattivo, giustizia e ingiustizia erano ritenuti legati all’utilità o al vantaggio”. Questo falso liberalismo aveva soppiantato, nella filosofia del New Deal, il vero liberalismo che aveva dato vita alla nazione americana. Lo stato newdealista era l’incarnazione di questo falso liberalismo, che era riuscito a soppiantare “la metafisica e la verità trascendente”, causando “l’abbandono dell’idea dei diritti naturali peculiari agli individui come esseri umani”.

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Tutto ciò stava portando la società occidentale verso la catastrofe: “Le forze che hanno prodotto la dittatura nazista in Germania non sono peculiari alla sola Germania. […] Le stesse forze sono al lavoro in tutte le nazioni del mondo occidentale. La crisi spirituale che ha causato il totalitarismo è una crisi peculiare non solo alla Germania, ma a tutta la civiltà occidentale”. Il pensiero di Hallowell non era isolato; si muoveva, invece, in un ampio spettro di posizioni che contestavano dalle fondamenta il liberalism del New Deal perché ritenuto intrinsecamente un-American. Certo, non tutte queste posizioni coincidevano, ma un dato era incontestabilmente comune: “La relazione tra liberalismo e capitalismo [è] intrinseca”, scriveva Hallowell. Solo che Hallowell proveniva dalla cultura cristiana e, di conseguenza, poneva il cristianesimo alla base della sua concezione della vita: “Vi sono determinate sfere della vita individuale, particolarmente quella religiosa ed etica, che sono soggette a limitazione da parte di Dio soltanto e mai dallo stato”.

 

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E tuttavia, ciò non impediva ad Hallowell di condividere le tesi di liberali classici come Ludwig von Mises e dello stesso Hayek. Secondo tutti i contestatori del New Deal, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento la cultura occidentale era stata pervasa da teorie che ponevano l’accento più sulla società che sull’individuo, più sulla possibilità del controllo sociale che sulla libera espressione delle forze spontanee presenti nel tessuto sociale. Da qui era scaturita l’idea dell’inadeguatezza del liberalismo classico e della necessità di sostituirlo con un nuovo liberalismo, basato su un “nuovo” individualismo (Dewey). Lo stato avrebbe fornito gli strumenti necessari per lo sviluppo del “nuovo” individualismo, sotto il mantello filosofico del nuovo liberalismo. Il New Deal era il grande progetto politico per raggiungere questo scopo. Quest’analisi era condivisa sia dai conservatori tradizionalisti sia dagli economisti liberali classici. Lo scientismo positivistico aveva travolto i principi della tradizione ebraico-cristiana, la tradizione che aveva dato vita alla civiltà occidentale. Scriveva Hallowell: “La questione di come gli uomini conoscono le cose divenne prioritaria rispetto alla questione di che cosa essi conoscono. […] Si ritenne che i giudizi di valore fossero espressione di preferenze soggettive piuttosto che di verità oggettive”.

 

Hallowell non si stancava di ripetere che questa ideologia non fosse propria soltanto della Germania nazista o della Russia comunista, ma che minacciasse tutta la libera civiltà occidentale, proprio a causa del declino – che sembrava ormai inarrestabile – del liberalismo integrale. Scriveva Hallowell in Main Currents: “L’ottimismo che caratterizzò il Diciannovesimo secolo ha prodotto nel Ventesimo una profonda disperazione. La vera Scienza sulla quale il Diciannovesimo secolo aveva riposto le sue speranze per la realizzazione dell’Utopia ha condotto molti individui, nel Ventesimo, sull’orlo dell’insignificanza”. Ciò è verificabile in ogni campo dell’attività umana. Oggi, un artista che dipinge un essere umano nelle sue vere fattezze, scriveva Hallowell, è considerato non solo fuori moda, ma persino mancante di talento artistico. I diritti dell’individuo sono stati oggetto di un profondo ridimensionamento, proprio a partire dalla rivoluzione positivistica.

 

La conclusione di questo processo, durato quasi un secolo, ha portato alle conseguenze che il New Deal ha espresso in forma totalizzante: “I diritti tesero […] a essere equiparati agli interessi. Essi non furono più considerati come pre-esistenti allo stato, ma piuttosto come conseguenza dell’esistenza dello Stato. […] In altre parole, gli individui non furono più concepiti come portatori di diritti in quanto esseri umani ma come cittadini; il diciannovesimo secolo sostituì i diritti naturali con i diritti legali”. Scienziati sociali e legislatori fecero a gara nello svuotare i diritti naturali dell’individuo, rendendoli subalterni ai poteri dello Stato; credettero, scriveva Hallowell, “di aver già scoperto le ‘leggi’ del progresso sociale” (The Moral Foundation). Il pensiero di Hallowell, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, ha dato un contributo importante alla rinascita del liberalismo classico, o liberalismo integrale, per usare le sue parole. Pur concentrandosi sul tema del valore etico della politica, le sue riflessioni, come quelle di altri conservatori tradizionalisti, scavarono a fondo sulle origini della crisi del Ventesimo secolo, prodotta dalla perdita del significato stesso della concezione originaria che la filosofia liberale aveva attribuito all’individuo e che aveva dato vita alla nazione, gli Stati Uniti, che più di altre ne aveva realizzato le finalità.

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