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La Galleria di Sopra

Camillo Langone

Normalmente i ristoranti peggiorano con il tempo. Ecco invece un posto che convince ogni volta di più. Tutto buonissimo

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Sempre imparando nuove cose invecchio” ha scritto un greco o forse era un latino, chi se lo ricorda, e comunque il concetto è così importante da sovrastare l’autore. Così importante perché così ignorato, sono poche le persone che superati i trent’anni (o i venticinque?) ancora accettano di andare a lezione dalla realtà. Questo spiega, fra l’altro, come mai da una visita all’altra il 90 per cento dei ristoranti peggiora e non migliora. Il cuoco-medio col passare del tempo perde entusiasmo e curiosità iniziali per assestarsi sulle comode vecchie abitudini contratte all’istituto alberghiero: il sale, lo zucchero, nei casi più tragici perfino la panna. Perciò è un dovere, oltre che un piacere, segnalare le eccezioni come la Galleria di Sopra che ogni volta convince di più. L’anno scorso meritavano gli gnocchi di cicerchia (nostalgico legume) e l’Acqua di Nepi (una meraviglia del Lazio), oggi l’elenco si fa più lungo perché dopo la conquista della leggerezza il cuoco è andato all’assalto della consistenza e del sapore. Si comincia con i vari antipasti pasqualini e il primo virtuosismo è costituito dai minisoufflé di borragine. Ma sono le due portate successive a certificare l’avvenuto cambio di passo: la rustica ai carciofi, sorta di tramezzino nobilitato e gustosissimo, e la notevole lasagna agli asparagi e calcagno (un particolare pecorino sardo). Si sarà capito che la Galleria è ristorante di cucina neoregionale, dove il territorio non viene comunicato dalle ricette bensì dagli ingredienti: un metodo difficile ovunque, siccome a ogni stagione bisogna ricominciare daccapo, e difficilissimo qui, nei Castelli dov’è faticoso immaginarsi una clientela amante di sorprese e sperimentazioni (eppure il locale lo abbiamo trovato sempre pieno). La piccola Albano ha un numero di cuochi di prima categoria che farebbe gola a tante media città: può darsi sia un caso, può darsi sia un effetto della strenua concorrenza, un esito della darwiniana “struggle for life” che impone a chi non vuole soccombere un costante affinarsi migliorarsi evolversi. La descrizione del nostro pranzo pasquale non è finita, c’è ancora l’agnello cruciale e per concludere una bavarese di ricotta e menta con zuppa di fragole che però è più buona, più sostanziosa e meno tremante di una bavarese. Il Cesanese del Piglio Hernicus alza 15 gradi, ottimo quindi per scaloppine e zabaione (consigliamo vivamente alla Coletti Conti, ambiziosa azienda anagnina, di darsi una regolata in quanto ad alcol, magari allargando gli impianti, cambiando potatura, raccogliendo l’uva un po’ prima, vedano loro, non è che possiamo insegnargli il mestiere). Parte della colpa è nostra che ci ostiniamo a ordinare Cesanese, più una partita persa che un vino (vedi Diva Bottiglia).

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