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Lettere

Una prima pagina per celebrare gli antifascisti di ieri e di oggi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

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Al direttore - Forse pochi ricordano un discorso tenuto il 25 aprile del 2009 da Silvio Berlusconi a Onna, cittadina simbolo del terremoto in Abruzzo. Un discorso serio e intellettualmente onesto, in cui l’appello a superare una storica divisione non sminuiva le ragioni dei vincitori e i torti dei vinti. Per la prima volta, infatti, il Cavaliere riconosceva apertamente il contributo decisivo della Resistenza alla nascita della democrazia repubblicana. Allora fu sommerso da un mare di polemiche, e liquidato come la professione di un inaccettabile revisionismo storico. Quel discorso, che proponeva di trasformare la Festa della Liberazione in una Festa della Libertà, avrebbe invece meritato una più pacata accoglienza, in quanto affrontava una questione cruciale: in che senso la Libertà (con la maiuscola) deve essere considerato il valore più alto e irrinunciabile. Essa, infatti, è la condizione perché questa o quella libertà (con la minuscola) si dia. Può quindi decidersi per il bene come per il male, con sovrana indifferenza. Addirittura può rovesciarsi nell’atto che la nega o l’annulla. Insomma, la libertà – come ben sapeva il Dostoevskij lettore di Pascal – viene prima del bene e del male. Attenzione, però. Perché, come ha scritto in un saggio pubblicato nel 1923 il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, lo stesso Dostoevskij “più profondamente di ogni altro ha compreso che il male è figlio della libertà. Ma ha compreso pure che senza libertà non c’è il bene. Anche il bene è figlio della libertà. A ciò si ricollega il mistero della vita, il mistero del destino umano. La libertà è irrazionale e perciò può creare sia il bene sia il male. Ma ricusare la libertà per il fatto che può produrre il male, significa produrre un male ancora più grande” (“La concezione di Dostoevskij”, Einaudi, 2002). Da ciò si deduce che, per l’autore di “Delitto e castigo”, la libertà rappresenta le fondamenta dell’edificio umano, e che i suoi inquilini sono disposti a patire ogni sofferenza che il mondo può infliggere pur di sentirsi liberi. Ciò vale non sempre, ovviamente. Tuttavia, settantanove anni fa non fu forse proprio la ribellione di pochi a determinare la libertà di tutti? 
Michele Magno

Il discorso di Onna di Berlusconi è semplicemente indimenticabile. Ma c’è un altro discorso sul 25 aprile che meriterebbe di essere ricordato oggi. Un discorso bellissimo fatto due anni fa da Sergio Mattarella, che siamo certi verrà superato – speriamo – da quello che farà oggi. “Nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul nostro territorio, viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza. Il 25 aprile rappresenta la data fondativa della nostra democrazia. Una data in cui il popolo e le Forze alleate liberarono la nostra patria dal giogo imposto dal nazifascismo. Un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista. La libertà non è mai acquisita una volta per sempre e, per essa, occorre sapersi impegnare senza riserve”. Mattarella disse anche che i nuovi partigiani della libertà sono gli ucraini che lottano per difendere la loro democrazia aggredita. A loro, oggi, vanno aggiunti anche coloro che difendono un’altra democrazia assediata, come Israele, e a loro vanno aggiunti tutti coloro che in giro per il mondo lottano per difendere la libertà dagli estremisti, dai nuovi fascisti, come fecero gli eroi della Brigata ebraica il 25 aprile. A loro, agli eroi dell’antifascismo del presente e del passato, è dedicata la nostra prima pagina. 


 

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Al direttore - In verità, il modo per uscire dalla perenne guerra civile simulata italiana ci sarebbe. La soluzione è nelle mani della premier Meloni che potrebbe trasformarsi da leader di partito  in statista capace di indicare una strada unitaria al paese. Basterebbe spegnere la Fiamma, strappare in maniera definitiva con la continuità della propria esperienza storica. In questo modo persino episodi gravi come quello di Scurati assumerebbero un altro valore. Credo faccia onore a Meloni non aver abiurato o svenduto la propria identità, come è capitato spesso a sinistra. Ma ora sulle sue spalle si carica una responsabilità storica che in passato è toccata ad altri leader. Come Fini a Fiuggi. Ed evidentemente quel “fascismo male assoluto” è stato dimenticato. Come Occhetto alla Bolognina. Il tema non è quello di un pericolo fascista. La questione vera è fermare un’operazione di lungo periodo che cerca di delegittimare l’antifascismo come ideologia di parte. Prima ci hanno provato gli storici del revisionismo, senza prendere sul serio le straordinarie pagine di Renzo De Felice sul fascismo come collante della piccola borghesia in preda al panico da impoverimento. Poi è venuto il tempo degli editorialisti e ancora dopo quello dei talk, abbastanza terrificanti, che ogni giorno picconano il senso comune della Repubblica. Ma l’antifascismo è e rimane cultura costituente della nostra democrazia repubblicana. Chi vuole chiudere i conti con l’antifascismo cerca in realtà di indebolire e rendere meno cogente la Costituzione che appunto nasce dalle diverse culture della Resistenza: comunista, socialista, popolare, liberale, repubblicana, azionista. Il ministro Sangiuliano dovrebbe sapere che il contrario di fascismo non è comunismo, bensì democrazia. Tutti noi dovremmo ricordare che a differenza delle esperienze del socialismo reale in Europa e nel mondo, il movimento comunista e il movimento operaio in Italia hanno contribuito alla nascita della democrazia repubblicana. Sarebbe davvero la chiusura di una diatriba politica a sfondo storico, una definitiva presa di posizione della premier Meloni a difesa dell’antifascismo e non solo di condanna del fascismo. Spegnere la Fiamma non è una provocazione, ma la necessità di tagliare con la continuità storica che viene dalla Repubblica sociale e poi dal Movimento sociale italiano. Un gesto coraggioso che farebbe fare un balzo verso la Terza Repubblica con lo sguardo in avanti, senza più polemiche strumentali perché tutti testimoni e difensori di una memoria finalmente condivisa. Con un sentimento sul 25 aprile che somigli di più a quello del 14 luglio francese.
Massimiliano Smeriglio
 

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