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Lettere

Alfa Romeo si rimangia Milano. Pazzie del ministro Urss sul made in Italy

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

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Al direttore - Alla fine l’Alfa Romeo ha ceduto: doveva chiamarsi Milano, la nuova macchina, si chiamerà junior. Al ridicolo non c’è fine.
Andrea Mattaroni

Capolavoro. Ricordate? L’Alfa Romeo annuncia che avrebbe creato una nuova macchina. Nome: Milano. Il ministro Urso, ministro del Made in Italy, scritto in inglese of course, si indigna e dice che non si può fare: un’auto prodotta in Polonia con il nome Milano violerebbe la legge italiana del 2003 sull’Italian sounding. Dunque: niente! Urso, ovviamente, deve essersi distratto e non deve essersi accorto che una norma così demenziale la si può aggirare quando si vuole (dal 2003, da quando è in vigore la famigerata prescrizione, circola un Suv della Nissan chiamato Murano, e nessuno se ne è mai lamentato). Ma l’effetto Urso (Urss per noi estimatori) ha prodotto conseguenze. Ieri, Alfa Romeo ha annunciato che l’Alfa Romeo Milano non ci sarà più e che la nuova macchina si chiamerà Alfa Romeo Junior. Risultato: il ministro del Made in Italy, in inglese of course, per far rispettare una norma demenziale, si è fatto in quattro per evitare di far diventare Milano, con Alfa Romeo, un brand ancora più globale. Capolavoro! Urss forse non si rende conto di quella che dovrebbe essere la sua mission: non convincere i produttori di auto a cambiare nome, ma convincerli a investire in Italia.   


 

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Al direttore - Usa, Gran Bretagna, Giordania e Arabia Saudita hanno difeso Israele dai missili degli ayatollah di Teheran. Senza, mi par di capire, Francia e Italia. In compenso, il ministro Tajani ci ha fatto sapere che il suo omologo iraniano gli ha assicurato che il nostro contingente militare in Libano non corre alcun pericolo. Una bella notizia per i famigliari dei soldati, più discutibile renderla nota a una “nazione con la schiena dritta” (come direbbe Giorgia Meloni).
Michele Magno


Al direttore - Nel suo “Vino al vino” – resoconto di un “viaggio d’assaggio” attraverso le regioni italiane del 1977 – Mario Soldati scriveva che “il vino è come la poesia, che si gusta meglio, e si capisce davvero, soltanto quando si studia la vita, le altre opere, il carattere del poeta”. Lo scriveva dicendosi preoccupato per la “decadenza” del vino italiano, in un’Italia in cui il sud esportava per la maggior parte vino da taglio e gli italiani sembravano aver dimenticato molti dei loro vini nazionali, tra cui il Greco di Tufo e il Fiano di Avellino (oggi Docg onnipresenti sulle nostre tavole). Nel 1971, Soldati contribuì all’ideazione del moderno Vinitaly. Difficile dire quanto resterebbe sorpreso visitando l’edizione del 2024. Ma una cosa, sicuramente, susciterebbe il suo interesse: le storie individuali di quelle migliaia di vignaioli che – dalla Sicilia alla Valle d’Aosta, chi innovando, chi riscoprendo, chi certificandosi, chi disobbedendo – continuano a comporre la “storia” del nostro amato vino italiano.
Giorgio Felici
 


 

Al direttore - Esplodono le inchieste giudiziarie in Puglia. Si apre, dunque, un caso Puglia che investe e mette direttamente in discussione il modello “Emiliano” di potere e di governo a Bari e nell’intera regione. Ma gli effetti si ripercuotono anche sul piano politico del rapporto e dell’alleanza Pd-M5s, con la segretaria Schlein in forte difficoltà e subalterna al populismo giustizialista di Conte. Di fronte a un tale terremoto politico, le componenti riformiste del Pd cosa aspettano a chiedere, con voce forte e chiara, un chiarimento strategico di fondo all’interno del gruppo dirigente del Pd?
Alberto Bianchi

Segnalo lo sconfortante garantismo del Pd in Puglia (strano, chi lo avrebbe mai detto che un Pd ostaggio del modello Emiliano sarebbe stato ostaggio del moralismo?). Notizia di ieri: “Bari, l’assessore al Bilancio indagato per truffa sui fondi europei. Decaro gli toglie la delega”. Quando si dice il garantismo.
 

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