La protesta in piazza Castello a Torino (Ansa)

Lettere

Idea per gli studenti: spostare le tende dalle università a Palazzo Chigi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Articolo 414 del Codice penale: “Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione”. Gli amici dovrebbero avvertire Myrta Merlino dei rischi che corre invitando gli studenti attendati “a fare le barricate”.
Giuliano Cazzola

Proposta per gli studenti. Spostare le loro tende dalle università, dove servono a poco, e portarle davanti a Palazzo Chigi, per chiedere al governo di risolvere il problema degli studentati nell’unico modo possibile: spendere bene e con urgenza i soldi del Pnrr, che nell’ambito della riforma 1.7 ha stanziato 960 milioni di euro e previsto due traguardi  e due obiettivi proprio per affrontare questo tema. Per raggiungere 60 mila posti in più, entro il 2026, aumentando del 125 per cento i posti attuali. Fare presto, fare tenda.


 

Al direttore - Secondo i dati Eurostat sul livello di istruzione terziaria della popolazione europea di età compresa tra i 25 e i 34 anni, l’Italia è al penultimo posto, seguita dalla sola Romania, che però ha più laureati Stem. Il ritardo universitario italiano è ancora più grave di quello che scontiamo nel digitale tout court secondo il Desi, l’indicatore sulle prestazioni digitali dei paesi europei. Abbiamo sostanzialmente la metà dei laureati sul totale della popolazione rispetto alla media europea. Negli altri paesi, la media degli studenti delle università digitali è almeno il 20 per cento del totale, in Italia non arriva al 10 per cento. Tra le cause di questa situazione, va sottolineato che in Italia abbiamo la peculiarità dell’80 per cento della popolazione che vive in comuni con meno di 100 mila abitanti, con province che in un caso su due sono prive di una sede universitaria. Di conseguenza, metà della popolazione universitaria italiana è fuori sede. I risultati sono sotto i nostri occhi, con le proteste degli ultimi giorni degli studenti contro il caro affitti. Oggi il modello organizzativo e tecnologico alla base delle nostre università tradizionali non è più adeguato alla velocità e produttività del contesto circostante. Basti pensare che su 100 studenti che iniziano un percorso universitario, dopo 10 anni solo 61 arrivano in fondo, con un dispendio notevole di tempo, risorse intellettuali ed economiche. Tra le principali cause ci sono proprio il pendolarismo, il costo degli alloggi e l’impossibilità di continuare gli studi se allo stesso tempo si è costretti a lavorare per mantenersi. Tra gli studenti “in presenza”, il tasso di frequenza medio è dell’80 per cento al primo anno, per poi scendere verticalmente gli anni successivi, con una media alla fine del percorso di studi inferiore al 50 per cento. Pochi punti percentuali di frequenza anche per laboratori e ricevimenti. Intanto, con 5 miliardi di persone in rete nel mondo e oltre 35 miliardi di device connessi, il digitale sta trasformando radicalmente le nostre interazioni sociali e gran parte dei settori economici, che spaziano dalla finanza all’automotive, alla distribuzione, ai media. In questo scenario, la formazione deve cogliere l’opportunità della rivoluzione digitale, come è avvenuto in tutti gli altri settori. Il processo di democratizzazione del sapere passa innanzitutto da modelli didattici digitali e multicanale, attraverso lo sviluppo di proposte formative accessibili, inclusive, personalizzate e innovative, con lo studente al centro, grazie all’interazione con la tecnologia, e quindi con le istituzioni e i docenti. Con capacità di copertura della popolazione attiva irrinunciabili per l’Italia, dove qualsiasi investimento in housing studentesco, che pure va accelerato, non potrà mai compensare il fatto che il 20 per cento della nostra popolazione vive in comuni con meno di 3.000 abitanti. C’è bisogno di una nuova bussola per orientarci nello scenario della rivoluzione digitale, in grado di affrontare il mondo che sarà e contribuire al paese che vogliamo per noi e le prossime generazioni. In Italia ci sono 18 milioni di diplomati che non hanno mai completato un percorso universitario, nemmeno triennale. Quali sono le loro prospettive professionali in un mondo nel quale l’intelligenza artificiale avrà un impatto drastico soprattutto su mansioni di media complessità e competenze a basso valore aggiunto? Sarà per questo che in tutti gli altri paesi avanzati nessuno si è mai nemmeno sognato di accennare alla vulgata della “laurea poco utile”? Ma al contrario tutti, proprio tutti, Unione europea inclusa, si sono autoimposti target molto sfidanti di percentuali di laureati sulla popolazione attiva, nonostante si trovino oggi in una situazione incomparabilmente migliore rispetto all’Italia?
Fabio Vaccarono
presidente e ad di Multiversity

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