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Con Meloni si scrive pace fiscale, si legge evasione dalla realtà

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il problema dei condoni fiscali, affrontato dal Foglio, è sempre lo stesso: incidono pesantemente sulla certezza del diritto, creano differenziazioni tra cittadini e riducono il gettito negli esercizi successivi a quello della sanatoria perché chi ha violato le norme pensa che, prima o poi, verrà un altro condono per cui vale la pena attendere, senza fare emergere i capitali nascosti. Poi vi è la questione, che si pone se viene varata l’ennesima “voluntary disclosure”, dell’eventuale connessione dei capitali sommersi con ipotesi delittuose di vario genere, a cominciare dall’autoriciclaggio. Il governo nega formalmente qualsiasi sanatoria penale che per di più – aggiungo io – se fosse introdotta, contrasterebbe con la Costituzione la quale al riguardo prevede l’amnistia con un rigoroso procedimento, non certo surrogabile con una sanatoria amministrativa. Certo, il bisogno di risorse e anche di una “disclosure” regolarizzante non può negarsi. Ma occorre fare attenzione; non siamo ancora ai soldi “pochi, maledetti e subito”. E si deve attendere di vedere se e come sarà affrontato il potenziale intreccio tra i capitali nascosti e poi emersi ed eventuali ipotesi di reato, nonché le sanzioni che si pensa di comminare, sperando che non si tratti di un dilemma siberiano (un poveretto, caduto in acqua, rischia di morire gelato, ma corre un pari rischio se riesce a uscire dall’acqua, a causa della temperatura). Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia

 

Le scelte fatte finora da Meloni sulla politica fiscale non vanno sottovalutate, perché sono scelte che offrono benefici, ristori e sollievi alle famiglie, e per questo, nel breve termine, saranno anche popolari. Ma le scelte fatte e annunciate dal governo hanno, dalla “tregua esattoriale” al rinviato tetto del contante fino alla sanatoria per i commercianti sprovvisti di Pos, anche un’altra valenza, più pericolosa: ripagare la fiducia degli italiani dando la possibilità ai piccoli e grandi evasori di non pagare alcun pegno, scoraggiare nel futuro anche molti non evasori a pagare regolarmente le tasse e iniziare un’opera di smantellamento di un sistema che negli ultimi anni ha dato i suoi frutti portando la propensione all’evasione ai 99,2 miliardi nel 2019 dai 102,9 dell’anno prima. Si scrive pace fiscale, si legge evasione dalla realtà.

  



Al direttore - Mi dispiace che un politico intelligente e verso il quale ho simpatia, Paolo Cirino Pomicino, mi attribuisca affermazioni e concetti del tutto estranei al mio pensiero. Avrei affermato che la Dc era un partito di destra sostituito poi in questo ruolo da Silvio Berlusconi e da Forza Italia. Nel mio libro, “A sinistra. Da capo”, sostengo esattamente il contrario. Scrivo a pagina 39: “La Dc non volle mai divenire (De Gasperi) un partito liberale o di destra, della borghesia imprenditoriale o agraria; piuttosto aggregò un grande elettorato interclassista, ben radicato nelle classi lavoratrici. Inventò mille forze diverse di aggregazione sociale, religiosa, culturale. Investì sulle nuove generazioni. Promosse un pluralismo interno, assai più di pensiero e di elaborazione, che meramente di potere”. In un altro passaggio, a pagina 55, ricordo che De Gasperi non solo affermò che la Dc guardava a sinistra ma: “Prima del voto del ’48, in un’intervista al Messaggero poco conosciuta, affermò che la Dc era un partito di centro che camminava verso sinistra”. Più chiaro di così! A proposito della sua funzione storica, ho semplicemente ricordato che grazie alla Democrazia cristiana una parte dell’elettorato di destra, rimasto impigliato nel regime fascista, è stato riportato dentro un campo democratico. E ho ricordato pure che, a differenza della destra di oggi del tutto illiberale, anche Berlusconi era riuscito a mantenere un tratto liberale raccogliendo nella Seconda Repubblica buona parte dell’elettorato più conservatore. Un caro saluto.
Goffredo Bettini

   


  

Al direttore - Ci sono due riflessioni che Goffredo Bettini molto autorevolmente rilancia e che mi sembrano difficilmente compatibili con il profilo che ha sin dall’inizio il Partito democratico e che appaiono quindi preoccupanti specie se, sulla base della sua autorevolezza, dovessero rivelarsi tesi maggioritarie. La prima è la rivalutazione della Rivoluzione d’ottobre, della pretesa spinta propulsiva iniziale, che in ultimo ripropone sul Post internazionale del 18 novembre. Ora in Europa e nel mondo le forze di centrosinistra si sono in realtà identificate nella Rivoluzione democratico-liberale del febbraio 1917 che aveva già demolito il regime zarista e sono stati identificati con Kerensky, non con Lenin. Celebre è peraltro lo scontro telefonico tra Kissinger e il socialista Mário Soares nella fase rivoluzionaria portoghese, in cui il primo non casualmente, identificandolo con Kerensky, lo criticava a torto di mollezza verso i comunisti e gli profetizzava che ne avrebbe fatto la stessa fine. Soares non respingeva l’identificazione con Kerensky, ma garantiva che l’esito sarebbe stato diverso e così per fortuna accadde. La seconda è quella sul cattolicesimo democratico, su cui si era già espresso nel giugno scorso. Bettini appiattisce l’intera Dc sulla destra e si rivolge a un generico cattolicesimo democratico, inteso come una somma di forze sociali, del volontariato, ecc., prive di una cultura politica nel senso forte del termine e come tali destinate a essere mediate politicamente da altri, in uno classico schema da Fronte popolare. Così facendo, contrariamente a quanto crede di interpretare Pomicino sul vostro giornale, non riprende affatto tesi di Pietro Scoppola, ma anzi fa esattamente il contrario. Per Scoppola il cattolicesimo democratico nel primo sistema dei partiti si era largamente sovrapposto a una parte dell’esperienza della Dc italiana, diversa in questo dalla Cdu tedesca, partito di centro-destra, a causa del fatto che la sinistra italiana era l’unica con un’egemonia comunista e questo obbligava a un’unità altrimenti impossibile. Di conseguenza dopo la svolta del 1989, che archiviava il riferimento al comunismo, il cattolicesimo democratico poteva svolgere un ruolo diverso nell’incontro tra tutti i riformismi, prima nell’Ulivo e poi nel Pd. Ma appunto come cultura politica, non come somma di esigenze sociali.  Se però, e qui i due punti si saldano, si riscopre con la propria autorevolezza una nostalgia dell’identità comunista, della Rivoluzione di ottobre anziché di quella di febbraio, si minano le basi del Pd, che nasce sull’idea dell’unità dei riformisti e non di un’unità frontista della sinistra.
Stefano Ceccanti

 


 
Al direttore - Il Pd ha compreso lucidamente che sostenendo la candidatura di Letizia Moratti c’era la possibilità di vincere la partita e battere il centrodestra in Lombardia. Siccome nella nuova strategia del Pd la possibilità di vittoria in elezioni importanti di carattere nazionale e regionale sono escluse come un feticcio di un passato da superare e dimenticare, ecco che, a quanto sembra, il Pd candida l’on. Majorino che è noto per le sue posizioni radicali al limite dell’estremismo. Di conseguenza con Majorino in una regione come la Lombardia la sconfitta del Pd è certa, quindi come già è avvenuto in occasione delle elezioni nazionali del 25 settembre anche per quelle regionali lombarde la sconfitta del Pd è certa. Sono molto soddisfatti sia la sinistra del partito, perché si profila questa ennesima disfatta della socialdemocrazia e del riformismo, sia Salvini che sta ringraziando per questo insperato “soccorso rosso” che gli consente di salvare il traballante Fontana e se stesso. Anche in seguito a questa scelta quasi tutta la segreteria del Pd si è iscritta all’Avis, la benemerita Associazione dei donatori di sangue. 
Fabrizio Cicchitto 

 


 

Al direttore - In merito all’articolo “Salvini punta alla governance del Pnrr. Dissidi tra Morelli e Fitto” pubblicato il 17 novembre 2022 sul giornale da lei diretto, desideriamo fornire alcune precisazioni. Al contrario di quanto riportato nell’articolo, né il direttore generale né altri dirigenti dell’Agenzia per l’Italia digitale hanno presentato le proprie dimissioni. I vertici dell’Agenzia proseguono il proprio lavoro e, nei giorni passati, il direttore generale ha avuto modo di incontrare il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, on. Alessio Butti, per illustrare compiti e attività dell’Agenzia. 
Agenzia per l’Italia digitale
 

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