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Lettere

Sui rave party e il rischio di panpenalismo, Nordio rilegga Nordio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - La norma approvata dal primo Consiglio dei ministri dell’èra Meloni istituisce una nuova fattispecie di reato: “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Chiunque organizza o promuove l’invasione – commessa da più di cinquanta persone – è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da mille a diecimila euro. Per i rave party di Putin la pena sarebbe una pacchia.
Michele Magno


Al direttore - Caro Cerasa, la cosa più brutta di questa norma sulle “invasioni collettive pericolose”, originata dal rave party di Modena, è l’idea che si debbano sempre dare nuovi strumenti alla polizia piuttosto che regole chiare ai cittadini. Non sapendo punire chi spaccia, né chi comprime con la violenza degli spazi di libertà altrui, lo stato si riserva la facoltà di mandare in galera chi si è semplicemente recato a una festa. Mah.
Francesco Compagna

 

I rave illegali, se sono considerabili come tali, vanno ovviamente proibiti, ma quanto alla pratica folle, e illiberale, di risolvere ogni problema aumentando le pene, giocando cioè con il panpenalismo, suggerirei la lettura, all’attuale premier e al suo ministro della Giustizia, di un’interessante osservazione offerta qualche mese fa da un bravo magistrato italiano. Sentite qui: “La sicurezza va garantita in modo preventivo e quindi attraverso il controllo del territorio, il potenziamento delle forze dell’ordine e di tutte quelle attività di prevenzione utili, da utilizzare a patto che restino segrete, come le intercettazioni. E l’errore, l’equivoco della destra, è quello di pensare di garantire la sicurezza attraverso l’inasprimento delle pene, la creazione di nuovi reati e magari con un sistema carcerario come quello che abbiamo che diventa criminogeno”. Chi è questo magistrato? O meglio: chi è questo ex magistrato? Forse avete indovinato: si chiama Carlo Nordio, il ministro della Giustizia, forse, ne avrà sentito parlare.


Al direttore - Una vecchia volpe come il presidente Ignazio La Russa non doveva cadere nella trappola della  manifestazione del 25 aprile. Bastava che rispondesse: “Io parteciperei volentieri. Mi assicura lei l’incolumità?”.
Giuliano Cazzola


Al direttore - Pur condividendolo, non sappiamo se risponda del tutto al vero quel che scrive Luciano Capone in merito alla rivoluzione culturale conservatrice che avrebbe in mente il ministro della Cultura. Temiamo tuttavia che se si intende intraprendere una battaglia culturale volta a infrangere l’egemonia di sinistra con quei nomi – Croce, Prezzolini, Gentile, Burke, Marinetti e Hayek – il risultato inintenzionale potrebbe essere ben diverso. Non perché si tratti di nomi di poco peso che non meritano rispetto o perché dubitiamo della doverosità della suddetta battaglia, ma perché dubitiamo che quei nomi possano essere d’aiuto per risolvere i problemi d’oggi, e perché pensiamo che, messi nello stesso calderone, essi susciterebbero soltanto polemiche e piccate precisazioni che allontanerebbero dall’obiettivo. Non possediamo certamente la verità su Hayek, ma ne sappiamo quel che basta per immaginare che si sarebbe trovato a suo agio soltanto con Burke (che peraltro si dichiarava un Whig), che non era ebreo (lo era Mises, ma era vicino all’Epicureismo), e che non fondò la Scuola di Chicago. Anzi, quando si trasferì a Chicago nel Dopoguerra, i suoi esponenti (alcuni dei quali, è vero, membri della Mont Pelerin Society) non lo vollero nel proprio dipartimento. Si potrebbe, scherzosamente, aggiungere che resta un mistero come mai, partendo da premesse filosofiche così diverse, austriaci e chicaghiani arrivino a posizioni politiche così vicine, ma anche, come scrive Capone, che non erano conservatori e che liberalismo e conservatorismo hanno poco da spartire con qualsiasi tipologia di “cultura di destra” (ammesso ovviamente e non concesso che sia chiaro che cosa si debba intendere con questa espressione). Premesso dunque che il conservatorismo è una cosa seria e che è un errore dimenticare per lo meno Oakeshott e Kirk, le battaglie culturali vanno condotte seriamente. Altrimenti si corre il rischio di farle naufragare tra le risate.  
Sergio Belardinelli 
Raimondo Cubeddu

 

Potremmo riadattare una vecchia massima di Winston Churchill per sintetizzare il dibattito sul tema in Italia. Mostratemi un conservatore che rimuove i riferimenti del passato e io vi mostrerò qualcuno senza cuore. Mostratemi un conservatore che vive di solo pantheon e vi mostrerò qualcuno senza cervello.

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