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le lettere

Ragioni di ottimismo, purché Meloni si guardi da amici e alleati

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

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Al direttore - “Per Kant, che pur scrisse uno dei più celebrati saggi sulla pace, il valore supremo che una ben ordinata convivenza di individui dovrebbe realizzare non è la pace, ma la libertà. La pace è soltanto la condizione preliminare di una libera convivenza”. (Norberto Bobbio, “L’idea della pace e il pacifismo”, 1975).
Michele Magno

  

“Le libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte”. (Filippo Turati)

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Al direttore - Lei direttore ha indubbiamente ragione. Le prossime mosse del centrodestra targato Meloni ci diranno qual è il suo vero volto, se quello del mister Hyde sovranista e populista o quello del dottor Jekyll in fase di allontanamento da quelle posizioni. Il pessimismo della ragione porterebbe a dubitare di una conversione europeista  che può apparire tardiva e del resto l’elezione di La Russa con la manina dell’opposizione può essere vista come una preoccupante fotocopia dell’appoggio liberale al Mussolini della prima ora. L’ottimismo della volontà invece ci porterebbe a pensare il contrario. Nel 1922 non c’era la virtuosa gabbia delle regole scritte dell’Europa e di quelle non scritte dei mercati. Non c’era un Ppe, la cui componente cristiano sociale non ha posizioni così abissalmente lontane da quelle meloniane e nei cui think tank si riflette anche su una redistribuzione delle competenze tra stati sovrani e istituzioni brussellesi. Non c’era la potenziale calamita di una maggioranza Ursula. Anche il discorso di un vecchio arnese postfascista come Ignazio Benito La Russa meriterebbe di essere letto al netto di pregiudizi. Basta rileggere il nulla del discorso di insediamento di Elisabetta Casellati per considerarlo un passo avanti. Il paese ha bisogno di un elettroshock per uscire dal declino. E se Meloni si farà guidare una volta al governo da un sano realismo una guardinga speranza è lecita.
Marco Cecchini

 

Continuo a pensare, o forse a sperare, che la lista di ministri che Meloni presenterà verosimilmente la prossima settimana a Sergio Mattarella dopo aver ricevuto l’incarico offrirà buone ragioni per non essere pessimisti sul futuro. E in fondo, per non essere pessimisti sul futuro, Meloni dovrà limitarsi a fare una cosa semplice: non seguire, per nessuna ragione al mondo, i modelli di governo suggeriti dai propri alleati più estremisti, evitando dunque di riproporre governi impresentabile come quello del 2018 (Salvini non sarà al Viminale e questa è già una buona notizia), evitando di mettere al ministero dell’Economia un ministro non apprezzato da Draghi (e avere Giorgetti sarebbe un’altra buona notizia) ed evitando di impostare la propria politica economica seguendo il metodo non fortunato usato in questi giorni da Liz Truss (che ieri ha cacciato il suo cancelliere dello Scacchiere, Kwarteng, Kwasi un disastro). Non fare quello che suggeriscono di fare gli amici e quello che hanno già fatto i propri alleati è l’unico modo per sperare che la coerente Meloni continui a essere incoerente con se stessa. Nella speranza, come dice Luciano Capone, che aver messo Ignazio La Russa alla presidenza del Senato e Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera sia stata un’abile mossa per non averli al governo. 


 

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Al direttore - E’ condivisibile il “caveat” del Foglio perché Giorgia Meloni, una volta nominata premier, si guardi dal rischio di apparire “controriformista” rispetto alla progettata cessione della maggioranza di Ita. Ma questa sarà una prova che si potrebbe definire “ab una disce omnes”, tale cioè da fare intendere quale sarà la posizione del nuovo governo sul rapporto tra stato ed economia. Anzi, poiché questo tema viene costantemente eluso dai governi nell’esposizione del programma per la fiducia delle Camere, sarebbe importante che sull’intervento pubblico la futura presidente chiarisse la posizione sua e dell’esecutivo, così come, corrispettivamente, del mercato. E, quindi, sarebbe del pari fondamentale che esponesse la linea che sarà tenuta sulle nomine in enti e imprese pubblici, sui requisiti e i criteri, sulle procedure, nonché sul ruolo al riguardo del Parlamento. E’ sperare troppo? Con i migliori saluti.
Angelo De Mattia


   
Al direttore - Corsi e ricorsi. Oscar Luigi Scalfaro, alla presidenza della Camera nel 1992 (poi al Quirinale), passò alle cronache dell’estate 1950 come il giovane deputato dell’Azione cattolica che in una trattoria romana diede uno schiaffo a una bella signora bionda per avere messo in mostra una scollatura di media profondità a suo avviso scandalosa. Il neo presidente della Camera, Lorenzo Fontana, laureato alla Università pontificia San Tommaso d’Aquino Angelicum, e sposatosi con il rito tridentino in latino del Concilio di Trento, è noto anche per avere associato “l’omosessualità al diavolo”. Un saluto.
Massimo Teodori
 

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