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Trent'anni dopo Tangentopoli. Un bilancio e qualche nemesi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Chiudiamo il trentennale con un’amara riflessione. La fortuna dei vedovi di Mani pulite è che non si è mai pentito Chicchi Pacini Battaglia che col suo silenzio salvò l’immagine della magistratura e un paio di governi di centrosinistra. Dove l’Eroe era ministro dei favori. E raccattò l’immunità parlamentare in quel del Mugello. Amen.
Frank Cimini

 

Trent’anni dopo Tangentopoli, qualche piccolo bilancio, al netto del rinvio a giudizio conquistato ieri da Piercamillo Davigo. Chi c’era nel pool? C’era Antonio Di Pietro, poi candidato con il centrosinistra. C’era Gerardo D’Ambrosio, divenuto poi senatore del Pd. C’era Gherardo Colombo, indicato nel 2012 dal Pd nel cda della Rai. C’era Francesco Saverio Borrelli, che nel 2007 sostenne la candidatura di Walter Veltroni alla guida del Pd. C’era Francesco Greco, che ieri un sindaco del Pd, Roberto Gualtieri, ha scelto come consulente alla legalità del comune di Roma. Trent’anni, molte coincidenze, e qualche nemesi. 

 


 
Al direttore - Forse l’inflazione darà nuova energia al populismo, mentre la toglierà a imprese e famiglie. Lei dichiaratamente teme che finirà così nell’eccellente editoriale pubblicato il 10 febbraio. Ne condivido la conclusione che riporto testualmente: “Se gli antipopulisti non troveranno una chiave non demagogica per affrontare la transizione ecologica, l’ambiente sarà il terreno su cui il populismo troverà nuova energia”. Desidero tuttavia portare la sua attenzione e quella dei lettori del Foglio sull’altra sponda del ragionamento, quella che confina con le premesse e non con le conseguenze che lei ben argomenta. La stratificazione di tutti i no energetici pronunciati in questo paese in oltre 40 anni (no trivelle, no estrazioni, no termovalorizzatori, no pale, no nucleare, no carbone, no gas, tanto per metterne in fila qualcuno, ma ne mancano molti all’appello) oggi presenta il conto e mostra a tutti il volto acerbo di un rincaro progressivo al di fuori della portata di famiglie, imprese e consumatori. In un momento di verità potremmo ripartire dal dire chiaramente che la transizione ecologica non avviene a costo zero, il che corrisponde alla prima verità non populista da mettere in campo: le politiche irrealiste degli ultimi decenni hanno prodotto un accomodamento del sentire comune sul divano del “no” pur di evitare la fatica di scegliere l’inginocchiatoio del “si”. Le politiche energetiche staccate dalla realtà ma raccontate sempre come mirabolanti innovazioni sono un combustibile potente per il populismo. Tracce di propellente fiabesco si ritrovano anche negli obiettivi della Commissione europea in vigore ma sappiamo molto bene che scaricherà tutti i costi su imprese e famiglie che già oggi pagano 15 centesimi per kilowattora, più del doppio di quanto non ne paghino i consumatori americani e cinesi: eppure l’Europa emette meno CO2 per unità di pil rispetto a Stati Uniti e Asia. E’ un’altra verità non populista poco raccontata che va messa in campo. Il ritmo imposto dalla tabella di marcia della riduzione delle emissioni nocive al 2030 e quello ancora più imponente di arrivare alla neutralità climatica nel 2050 andranno di pari passo con l’aumento dei prezzi e con la messa in discussione di tutto il sistema economico italiano: altra verità non populista poco raccontata. La dipendenza dagli approvvigionamenti nazionali da mercati esteri è lesiva degli interessi nazionali. Si può dire, anche se è non populista? Pretendere che la politica abbandoni gli slogan e abbia il coraggio di proporre correzioni e soluzioni possibili, è il primo modo di arrestare la deriva che lei ha paventato nel suo editoriale. Mi permetta di rispondere a una obiezione che il lettore, giunto a questo tornante delle argomentazioni, di certo avanzerà: ma il partito in cui milita, in che modo, oggi, si chiama fuori dalla confusione pan energetica che produrrà il nuovo populismo tratteggiato nell’editoriale? Partiamo dagli aumenti stratosferici delle bollette energetiche. La posizione del Pd è chiara: non proponiamo di intervenire sul caro bollette per populismo, ma per evitare che si chiudano le aziende e si indebitino le famiglie. Subito. Intervenire troppo tardi e con risorse non adeguate è pericoloso e non solo dal punto di vista economico. Poi, per non soccombere al “populismo energetico”, indichiamo una direttrice di intervento che preveda l’aumento della produzione nazionale di gas, l’aumento della produzione da e delle energie rinnovabili, rendendo operativo nel più breve tempo possibile il meccanismo delle aste e semplificando e accelerando l’iter amministrativo delle autorizzazioni. Inoltre, molto importante è aiutare le famiglie nell’efficientamento energetico  su scala generale e non solo sul fronte edilizio. Occorre infine puntare a un governo europeo dell’approvvigionamento e degli stoccaggi che possa garantire ai paesi europei condizioni migliori e più stabili. Primi passi concreti e realizzabili, non populisti. Apprezzo davvero la sua sincerità nell’esprimere il timore che la battaglia sia persa. Ma a tale sincerità oppongo una certezza: il populismo non cresce per forza propria ma per l’abbandono di campo del suo antagonista. E’ l’ignavia e la menzogna della narrazione che lo rendono (forse) invincibile moneta corrente, pericolosa più dell’inflazione.
Gianni Dal Moro, deputato del Pd

 

La sua lettera è coraggiosa, caro Dal Moro, ma il problema resta, e ora è un problema doppio: il Pd rischia di farsi rubare due importanti battaglie antipopuliste, contro il populismo energetico e contro il populismo giudiziario, da chi da anni gioca con il populismo. Passi concreti e realizzabili. Ma anche rapidi, prima che sia tardi.

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