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Kabul, Caporetto. Stato e sindacati, uniti per affossare la scuola

Le lettere del 25 agosto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Rientrare il 31 da Kabul? Ma le partenze intelligenti?
Giuseppe De Filippi

 

Uno dei misteri degli ultimi dieci giorni, ha scritto ieri con un po’ di comprensibile indignazione il Wall Street Journal, è la riluttanza del presidente Biden a dire una parola dura contro i talebani. “Biden – ha notato il Wsj – è stato molto più duro con i nostri alleati afghani che con i jihadisti che hanno conquistato il paese e umiliato gli Stati Uniti. E la ragione è quasi certamente che il signor Biden sente di aver bisogno della cooperazione dei talebani per salvare gli americani a Kabul”. Da Caporetto è tutto, a voi studio.


 

Al direttore - In risposta all’appello alla ribellione rivolto ai docenti italiani dal direttore del Foglio: la questione centrale della scuola italiana è semplice e ruota tutta intorno al salario dei docenti. Partiamo da un presupposto: non è tutta colpa del Covid. La scarsa qualità dei servizi scolastici, i bassi livelli di apprendimento, lo scadimento culturale della proposta formativa della scuola italiana sono fatti noti da anni: gli italiani leggono poco, hanno difficoltà a comprendere testi mediamente complessi, hanno conoscenze matematiche scarse e insufficienti per ragionamenti che necessitino di operazioni un po’ più complesse dell’addizione. Una buona parte della popolazione adulta è vittima inconsapevole dell’analfabetismo funzionale. La distribuzione degli insuccessi non è omogenea: nelle zone povere del paese le cose vanno peggio, e per gli studenti di famiglie povere l’insuccesso è quasi scontato ovunque. Il quadro pertanto è quello di una scuola di scarsa qualità e di solido impianto classista. Il Covid ha messo in evidenza aggravandoli i ritardi decennali del sistema. Il corpo docente è anziano, scarsamente motivato, pagato poco, poco produttivo: le continue immissioni di personale precario hanno senz’altro contribuito ad abbassare i livelli di insegnamento, l’assenza di prospettive di carriera ha reso del tutto inutile ogni investimento individuale. Ci sono molti bravi docenti, preparati e impegnati, ma non contano niente, vengono equiparati agli ultimi arrivati, spesso selezionati attraverso concorsicchi riservati a precari, tutelati da sindacati onnipresenti. L’ultima trovata di opporsi all’obbligatorietà del green pass per i docenti è eloquente del livello dell’iniziativa sindacale. Ma il nemico più pericoloso della scuola italiana non è il sindacato, che pure è dannoso da parte sua, bensì lo stato (governo, Parlamento, partiti politici con poche ininfluenti eccezioni). Lo stato italiano attraverso le sue ramificazioni ha perpetrato consapevolmente e intenzionalmente una costante degradazione del lavoro docente. Il ricorso massiccio al precariato è parte essenziale di questa strategia. Le pur condivisibili parole di Cottarelli e Cerasa contro la strategia sindacale, che mira all’assunzione di decine di migliaia di precari indipendentemente da merito e qualità, vanno pertanto integrate: la responsabilità del precariato è innanzitutto dello stato e poi in seconda battuta dei sindacati, che utilizzano semmai il precariato per i loro scopi e i loro interessi. Restando all’emergenza pandemica: se la lotta contro il green pass è indice del basso livello sindacale, il protocollo sulla sicurezza del ministro Bianchi è indice del basso livello della politica. Lo stato e i suoi apparati hanno a cuore la difesa e il consolidamento dei ceti parassitari di cui sono intima espressione. La scuola statale italiana non può che risentire di questa politica, espressa a chiare lettere nel meschino e tacito scambio fra stato e docenti: “Noi facciamo finta di pagarvi, voi fate finta di lavorare”. In questa situazione ogni euro in più è sprecato. Per questi motivi è importante aderire all’appello alla ribellione mosso dal direttore di questo giornale il 13 agosto: ribellarsi alla sciagurata politica sindacale, ma anche e soprattutto ribellarsi alla sciagurata classe dirigente di questo paese. Occorre sì scongiurare il terzo anno di Dad, ma il contesto è più ampio e la spinta necessaria molto più forte: occorre lottare per innalzare i livelli culturali, di insegnamento e di apprendimento, per salari più alti, per la selezione di docenti meritevoli attraverso concorsi rigorosi aperti a tutti (non i concorsi farsa riservati ai precari), per incentivi di carriera per i docenti migliori. Si tratta di dare vita a una lotta culturale e intellettuale che può avere i suoi momenti di gloria; dovrà essere soprattutto una lotta di idee, ma si potranno anche usare strumenti più tradizionali, come la sospensione di ogni attività aggiuntiva non obbligatoria, soprattutto quelle retribuite in maniera ridicola quando non offensiva dallo stato padrone. Non sarà facile: all’inizio ce li avremo tutti contro, il governo, i partiti, i parassiti, i sindacati, ma le cose potrebbero cambiare. La pressione di alcune decine di migliaia di docenti, soprattutto quelli intellettualmente più attivi, che non hanno smesso di studiare e di riflettere criticamente su se stessi e sulla società che li circonda, potrebbe fare la differenza. 
Francesco Armezzani 
insegnante di Filosofia e Storia

Perfetto, grazie.