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Lettere

La Superlega è Superliberale. Due parole su Beppe... Grilla!

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

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Al direttore - Fuga dalla Superlega, tutti al Misto. 
Giuseppe De Filippi


 

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Al direttore - Più soldi significa più spettacolo, più spettacolo significa più business, più business significa più opportunità per tutti, lei ha scritto. Può darsi. Fino a ora, tuttavia, ha significato solo più debiti per i soci fondatori della Superlega. Se non ci fosse stata la nefasta copertura dell’Uefa e, in qualche caso, dei governi nazionali, quasi tutti avrebbero già dovuto portare i libri in tribunale. E il Bayern Monaco, l’unico grande club con i conti in ordine, ha dichiarato che non parteciperà al nuovo torneo. Poiché non sembra che gli amministratori della “sporca dozzina” (copyright di Aleksander Ceferin) abbiano intenzione di ridurre i costi di gestione, i maggiori ricavi non riusciranno mai a sanare i deficit di bilancio. In attesa del botto finale, che prima o poi ci sarà. Inoltre, siamo proprio sicuri che veder giocare ogni anno sempre le stesse squadre – con poche eccezioni – renderebbe più attraente lo spettacolo pallonaro? Ne dubito. Il gioco più popolare del mondo si basa sulla compravendita di una merce particolare, la passione dei tifosi. Una merce il cui valore è costituito anche dalla possibilità che la squadra più debole possa battere, almeno qualche volta, quella più forte; che la mia Lazio, insomma, possa sconfiggere la sua Inter. Se si elimina alla radice questa chance, alla lunga lo spettacolo rischia di diventare troppo ripetitivo e noioso (con meno ascolti, meno diritti televisivi, meno introiti e bilanci sempre più in rosso). Da ultimo, la Superlega si configura come un vero e proprio monopolio, con forti barriere all’ingresso e un chiaro abuso di posizione dominante. E’ davvero difficile pensare che possa rappresentare un bene per l’insieme del movimento calcistico europeo. Qui sovviene l’antica lezione di Luigi Einaudi: “I liberali devono abbattere e contrastare tutti i monopoli legali […], ma se poi, distrutti tutti quei monopoli quali derivano dalla legge, qualche monopolio dovesse restare ancora, noi dovremo essere contrari a questo monopolio e anche questo dovremo abbattere. Siano monopoli dei datori di lavoro, siano dei lavoratori” (discorso al primo congresso del Pli, Roma, 1946).
Michele Magno

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Le posizioni dominanti conquistate sul mercato di solito si chiamano aggregazioni, non monopoli. E fino a prova a contraria, di fronte a un’aggregazione fatta da privati che promette di creare più ricchezza e anche più spettacolo i liberali dovrebbero avere un pregiudizio più positivo che negativo. E poi, caro Magno, Inter e Lazio continueranno a incontrarsi laddove dal 6 maggio del 1998 (Zamorano, Zanetti, Ronaldo) si sono sempre incontrate: in Italia, non in Europa. 


 

Al direttore - Anche io credo a Beppe Grillo, che fa bene a difendere il figlio, se lo ritiene innocente, e anche ad attaccare la presunta vittima, che tale resta al pari del presunto colpevole, fintanto che lo stesso reato, a dire il vero, è anch’esso presunto. E’ il gioco delle parti processuali, che dovrebbe rimanere scevro dai giudizi preventivi indipendentemente dal reato commesso. Mentre nel video di Maria Elena Boschi l’accusa di bancarotta diventa più grave dell’accusa di stupro. Allontanandosi per sempre da quella cultura – che a corrente alternata provano a brandire – che non giudica gli indagati in base alla gravità dell’ipotesi di reato, finché ipotesi resta. Per questo chi oggi fa le pulci alla coerenza di Grillo o, come Provenzano, invoca il sigillo salvifico di Conte a difesa della presunta vittima, è uguale a lui. Che continua a sbagliare fornendo come prova dell’innocenza del figlio l’assenza di carcerazione preventiva. Gli stupratori non vanno in carcere prima di un processo, salvo i tre casi di esigenza cautelare, indipendentemente dalla gravità del reato commesso. Per lo stesso principio non è il tipo di reato a rendere la vittima tale, fino a sentenza definitiva. Grillo difende un presunto innocente, non insulta una presunta vittima. Tanto meno insulta tutte le donne. E’ questo l’errore del #MeToo, che con precisione Ferrara definisce “una specie di grillismo dell’onestà trasportato nell’eros”. La deriva dell’uno vale uno del pansessualismo, in cui tutte le donne sono uguali, tutte sono vittime, tutte sono non consenzienti, tutte sono più deboli di un pisello, tutte se denunciano hanno ragione. E’ il frutto dell’autoghettizzazione delle minoranze che ha trasformato i diritti di tutti in potere di lobby speciste, corporative e frignanti. E’ la volontà di potenza che sfrutta questa crociata morale per ingrassarsi e descritta da Pietro Castellitto “se Kevin Spacey mi mette la mano sulla coscia gliela sposto, non gli rovino la vita” che ben altra eco avrebbe avuto se avesse toccato il corpo delle donne. Come Grillo ora accusato da Michela Marzano di essere il mandante morale dello stupro di gruppo. Messa così a dar ragione al comico sono proprio le metoo, accogliendo la sua richiesta di mandare in galera lui al posto del figlio. Del resto il colpevole può sempre essere presunto innocente, come Boschi ci ha insegnato sulla sua pelle, ma la vittima è certa, ed è donna. Per diritto collettivo, sindacale, vaginale. Una vale una. Viva Grillo, anzi viva Grilla.
Annarita Digiorgio

 

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