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Step del modello Ursula. Precisazione sul cane di Draghi (è un bracco)

Le lettere al direttore dell'11 dicembre 2020

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Al direttore - Andate a quel paese!
Giuseppe de Filippi

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Al direttore - Andate a quel paese!
Giuseppe de Filippi

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Al direttore - Il Foglio del 10 dicembre pubblica un interessante articolo sullo studio, a Palazzo Koch, del governatore onorario Mario Draghi, aggiungendo una dovizia di informazioni sulla giornata dell’ex presidente della Bce e sulle sue relazioni. E’ importante che, come da tradizione, si stabilisca una sorta di “continuum” tra coloro che hanno governato l’ultracentenaria istituzione di Via Nazionale e i successori. Ma l’occasione mi porta a ricordare, soprattutto in questi giorni quando si celebra il centenario della nascita di Carlo Azeglio Ciampi, il governatore onorario quale fu anch’egli nonché il suo breve soggiorno a Palazzo Koch sempre all’insegna del “fuge rumores” e della più completa riservatezza. Breve permanenza perché un partito che allora si stava formando provocò, con qualche sua struttura aziendale, una indegna gazzarra sulla decisione di riservare a Ciampi un ufficio. A quel punto egli autonomamente decise di trasferirsi nella sede dell’Ente Einaudi (a via Due Macelli) di cui era vicepresidente. Un identico stile di sobrietà e di riservatezza aveva osservato, come era nella sua natura, il predecessore di Ciampi, Paolo Baffi, da governatore onorario e vicepresidente della Banca dei regolamenti internazionali, il quale si recava a Via Nazionale guidando personalmente una piccola Innocenti. Molto prima di Baffi, il governatore Donato Menichella, ugualmente designato poi governatore onorario, si recava anche a piedi da Palazzo Brancaccio, dove abitava, in Banca d’Italia. La straordinaria forza intellettuale e l’eccezionale esperienza di questi governatori, che non avrebbero mai tollerato narrazioni di stampo eulogico, hanno costituito una grande ricchezza per il futuro della Banca centrale, come i fatti hanno poi puntualmente dimostrato.
Con i migliori saluti,

Angelo De Mattia

 
Precisazione importante, sul magnifico articolo di Carmelo Caruso. Mario Draghi non ha due alani, ma uno splendido vizsla, un bracco ungherese a pelo corto.

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Al direttore - Non è stato narcisismo, non è stata autopromozione, men che meno è stata un’operazione politica. Votare, unico tra i senatori, in dissenso dal mio gruppo sulla riforma del Mes era l’unica possibilità che avevo per dare voce a un’idea che si fonda su due punti fermi. Il primo. Il Conte 2 è nato in stallo e in stallo è rimasto. La pandemia ha cristallizzato l’esistente, ma non è servita a dare senso né forza politica al governo e alla riottosa maggioranza che lo sostiene. Ne risulta un esecutivo inefficace e inefficiente, dunque dannoso. L’unica sua qualità agli occhi dell’establishment nazionale ed europeo da cui, per quanto poco possa piacerci, e a me non piace affatto, dipende molto di quel che accade sulla scena politica nazionale, è quella di non essere un governo Salvini. Nonostante le insistenze di Giancarlo Giorgetti e diversi altri, il leader della Lega si è messo fuori dall’“arco costituzionale” europeo e non sembra intenzionato a cambiare. Il suo sostanziale antieuropeismo è, dunque, la principale garanzia di sopravvivenza di Giuseppe Conte e del suo esecutivo. Al di là delle pur motivate obiezioni di merito, la scelta di Forza Italia di allinearsi a Salvini su un tema di così evidente caratura europea ha perciò contribuito a consolidare l’avversario. Così come la mancanza di voti aggiuntivi (il mio non lo è stato) sulla riforma del Mes ha costretto i grillini a ingoiare il rospo, impedendo che il Quirinale fosse costretto a prendere atto della mancanza di una maggioranza su un tema decisivo di “politica estera”. Insomma, gli abbiamo fatto un favore. Il secondo punto fermo è presto detto. Sono certo, e come me lo è anche chi ha votato contro, che se il centrodestra fosse oggi al governo avrebbe approvato la riforma del Mes così come hanno fatto tutti, ma proprio tutti, i governi dell’Eurozona. La avremmo approvata in quanto male minore. Perché se non l’avessimo approvata ci saremmo isolati dall’Europa quando più ne abbiamo bisogno e ne avremmo scontato le conseguenze sul terreno del Recovery fund, perché l’esperienza storica ci ha insegnato che quando entrano in crisi le banche tedesche o francesi a pagare il conto sono le nostre, perché ce lo chiedevano le imprese italiane, perché il Mes riformato è comunque meglio del Mes pre riforma, perché se avessero prevalso i voti contrari avremmo patito quell’“effetto stigma” paventato a torto dai detrattori del Mes pandemico, perché per “cambiare l’Europa” bisogna starci dentro. Credo a quel che ho detto in Aula: l’Italia è appesa a un filo, siamo alle prese con problemi complessi; banalizzarne la complessità mette a rischio tanto la possibilità quanto la capacità di risolverli quando se ne avrà la responsabilità diretta. In altre parole, se vogliamo governare e non solo esibirci, se consideriamo che i voti siano un mezzo e non un fine, dobbiamo accettare la realtà in cui siamo calati. Dobbiamo accettarla anche se non ci piace. Occorrono realismo, realismo, ancora realismo e una buona dose di etica della responsabilità. So di dare un dolore al direttore Cerasa, ma poiché non credo alla “maggioranza Ursula” (FI, Pd, M5s) continuerò a battermi per un centrodestra realista e “di governo”, unico presupposto alla caduta del nefasto Conte 2, che sia a beneficio di un governo istituzionale o viatico di nuove elezioni. Votare, a titolo puramente personale, in dissenso dal gruppo di Forza Italia mi è costato, ma poiché il mio voto non è stato d’aiuto alla maggioranza né di ostacolo alle opposizioni, non me ne sono pentito.
Andrea Cangini, senatore di Forza Italia

    
Legge di Bilancio, Recovery plan, legge elettorale, scelta del presidente della Repubblica. Da questi quattro passaggi capiremo se il modello Ursula è simile al patto del Nazareno: al governo non si vede, ma in Parlamento sì.

 

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