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I disperati senza qualità di cuore e di mente. Il cambiamento è come un iceberg

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 2 febbraio 2019

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Al direttore - C’è un caso di licenziamento per troppo Facebook al lavoro. Ssshh amici, zitti, non date consigli, e intanto un bacione a tutti.

Giuseppe De Filippi

 

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Al direttore - “Volere è potere: la divisa di questo secolo. Troppa gente che ‘vuole’, piena soltanto di volontà (non la ‘buona volontà’ kantiana, ma la volontà di ambizione); troppi incapaci che debbono affermarsi e ci riescono, senz’altre attitudini che una dura e opaca volontà. E dove la dirigono? Nei campi dell’arte, molto spesso, che sono oggi i più vasti e ambigui, un West dove ognuno si fa la sua legge e la impone agli sceriffi. Qui, la loro sfrenata volontà può esser scambiata per talento, per ingegno, comunque per intelligenza. Così, questi disperati senza qualità di cuore e di mente, vivono nell’ebbrezza di arrivare, di esibirsi, imparano qualcosa di facile, rifanno magari il verso di qualche loro maestro elettivo, che li disprezza. Amministrano poi con avarizia le loro povere forze, seguono le mode, tenendosi al corrente, sempre spaventati di sbagliare, pronti alle fatiche dell’adulazione, impassibili davanti a ogni rifiuto, feroci nella vittoria, supplichevoli nella sconfitta. Finché la Fama si decide ad andare a letto con loro per stanchezza, una sola volta: tanto per levarseli dai piedi”. Questo ritratto della società letteraria dell’epoca, sconsolato e implacabile, è di Ennio Flaiano (“Diario notturno”, 1956). Sessant’anni dopo, “disperati senza qualità di cuore e di mente” si sono nuovamente affacciati sul proscenio nazionale. Solo che non scrivono libri, ma pretendono di governare il paese con l’organizzazione dell’entusiasmo verso il capo e con la sistematica confusione tra verità e menzogna, che fa diventare un lavoro di Sisifo anche lo sforzo di tener ferma la conoscenza più elementare. Beninteso, non siamo in un regime dispotico, ma – parafrasando la profezia agghiacciante che Theodor Adorno fece all’indomani della sconfitta del Terzo Reich – in Italia le bugie hanno ormai le gambe lunghe: si può dire che precorrano i tempi.

Michele Magno

Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà verità. Lo diceva un tempo Joseph Goebbels, lo teorizzano oggi gli amici della Goebbels Associati.

 

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Al direttore - Non finisce di stupire – eppure dovremmo essere abituati – il modo in cui la maggioranza di governo affronta le questioni economiche e bancarie. Essa, con una determinazione degna di miglior causa, vuole istituire una nuova commissione parlamentare di inchiesta sulle banche per la quale manca solo il definitivo, scontato voto favorevole della Camera, benché questa commissione si configuri come permanente (per la durata della legislatura) quasi fosse una una classica commissione di quest’ultimo tipo. Ma la stessa maggioranza poi vuole introdurre subito adesso, nel decreto Carige, alcune presunte riforme che dovrebbero essere, invece, il risultato dell’inchiesta. Ha ragione, dunque, il Foglio del 1° febbraio che scrive di “imboscata Carige”. Ma in altri versanti si rileva molto di più di semplici contraddizioni: dal sesquipedale insistere nel ritenere la Banca d’Italia come privata (ottima la risposta di Capone alla lettera “boomerang” del sottosegretario Villarosa), all’attribuzione delle responsabilità della recessione, alternativamente a seconda dei casi, esclusivamente al governo precedente, al rallentamento dell’economia a livello internazionale, allo stato delle relazioni tra Usa e Cina, al calo del prodotto in Germania e così di seguito; insomma, “c’est la faute à Rousseau”. Mai il minimo pallido cenno di autocritica o di impegno a far meglio, ma, all’opposto, la serie, “sconfitta della povertà”, “avvio di un nuovo boom economico”, “istituzione di un nuovo Welfare”, “attacco ai dati Bankitalia e Fmi”, pil che nell’anno potrebbe raggiungere l’1,5 per cento di incremento e altre sciocchezze della specie. Forse che veramente l’ignoranza, come ha scritto un noto scrittore, stia diventando un merito? Aggiunta, nel caso, alla demagogia di stampo populista? Ma verso quale approdo, se così fosse, si starebbe andando?

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Angelo De Mattia

L’approdo del cambiamento purtroppo è solo un iceberg.

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