La Cdp e il contratto sovranista. Liberarsi dei grandi bugiardi

Le lettere del 27 luglio al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nei giorni scorsi la Corte dei conti alla presentazione del Rapporto annuale sul coordinamento della finanza pubblica ha ribadito che, nonostante ci siano stati molteplici interventi in più anni accomunati dall’obiettivo di essere di stimolo a politiche di sviluppo e investimenti, questi non hanno prodotto i risultati sperati. Provando a fare un quadro di sintesi su quello che è accaduto alla finanza locale negli ultimi anni è anche di facile comprensione quello che lamenta la Corte. Noi sindaci l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle e su quella dei cittadini che rappresentiamo. La devastante crisi economica che è parzialmente alle nostre spalle ha fatto sì che su 25 miliardi di aggiustamento strutturale del deficit pubblico nel periodo 2010-2015 ben 9 miliardi siano stati forniti dal contributo dei comuni alla finanza pubblica, contributo che salvo proroghe dovrebbe terminare quest’anno e dare un respiro agli Enti locali pari a 560 mln di euro. I limiti della ripresa per gli Enti locali vanno ricercati non solo ai tagli di risorse senza precedenti, azzeramento dei trasferimenti correnti e drastica riduzione dei trasferimenti in conto capitale ma a fattori come il blocco del turn over (ricordo che l’età media del personale comunale è 52 anni) la maggiore complessità delle procedure nell’attuazione delle riforme intraprese e talune volte la totale assenza di coordinamento tra livelli centrali, regionali e locali di governo nelle fasi di programmazione e attuazione degli interventi di investimento. In questa fase sarebbero vitali, per i comuni, interventi mirati come ad esempio la riqualificazione del personale e la sua formazione (abbiamo ancora limiti di spesa al 50 per cento rispetto al 2009), o nuove regole sugli appalti che semplifichino e non quadruplichino le procedure amministrative a carico degli enti. Mi appello ai nuovi interlocutori governativi che scriveranno le regole nella legge di Bilancio in autunno: diano certezze di risorse ai comuni e il giusto grado di autonomia per governare. La stragrande maggioranza dei comuni è in avanzo di amministrazione e non può usare le proprie risorse per investire in opere pubbliche e servizi. Questa situazione non è più tollerabile. Si riparta, con lo sblocco della leva fiscale che ha sacrificato per anni comuni che prima di questo blocco avevano lasciato bassa la pressione fiscale, si aboliscano tutti i tagli e si investa in un contributo maggiore al Fondo per gli investimenti per il prossimo biennio, nel 2018 è pari a soli 150 milioni di euro. Per scardinare definitivamente la crisi gli investimenti siano accompagnati da una seria progettazione partendo dalle buone esperienze che ci sono state in passato e creandone nuove ma con un serio coordinamento dei più livelli dello stato e nella piena autonomia comunale sancita dalla nostra Costituzione. Il paese non può più attendere.

Guido Castelli, presidente IFEL e delegato alla Finanza locale Anci


  

Al direttore - Il ministro della Polizia se ne è adontato, ma il “Vade retro Salvini” di Famiglia Cristiana non è altro, in fondo, che una sorta di traslitterazione della formula canonica adoperata dagli esorcisti nei loro rituali. Certo, il vicepremier della Lega non è Satana, che si crede “il principe di questo mondo” (lui è solo “il capitano del popolo”). Tuttavia, in quanto seminatore di discordie e menzogne, evidentemente ai redattori del settimanale fondato dal beato Giacomo Alberione è parso degno di essere accostato al diavolo, che è il mentitore per eccellenza (il termine diavolo deriva dal verbo greco “diabàllo”, che significa dividere, creare – attraverso l’inganno – inimicizia tra gli uomini e tra l’uomo e Dio). Pure, se gli amici di Famiglia Cristiana me lo consentono, io non avrei trascurato, per la sua forza e semplicità francescana, l’esorcismo che il poverello di Assisi insegnò a frate Ruffino tentato assiduamente dal demonio che, in figura di Cristo, lo esortava ad abbandonare la via ascetica. Poiché non servivano preghiere e digiuni, Francesco gli consigliò ciò che doveva dire al demonio ove si ripresentasse per tentarlo. Ruffino obbediente mise in pratica il suo insegnamento. Ecco il diavolo che gli dice: “Che ti giova affliggerti mentre che tu se’ vivo, e poi quando tu morrai sarai dannato? E subitamente frate Ruffino risponde (con le parole suggerite dal poverello di Assisi): Apri la bocca; mo’ vi ti caco. Di che il demonio isdegnato, immantinente si partì con tanta tempesta e commozione di pietre di monte Subasio ch’era in alto, che per grande spazio bastò il rovinio delle pietre che caddono giuso” (“I Fioretti di san Francesco”, 29, Città Nuova, 1999). Ecco, la coscienza italiana, se seguisse e praticasse il precetto del figlio di Pietro di Bernardone, forse si libererebbe più rapidamente da quello sciame di “grandi bugiardi” che infesta il paese.

Michele Magno


  

Al direttore - Il 25 luglio rispondendo alla lettera di Cecchini che giustamente stigmatizzava la notizia, per ora non smentita, secondo la quale il neonominato amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti, Fabrizio Palermo, avrebbe promesso fedeltà nell’esercizio della carica al contratto di governo stipulato tra le forze della maggioranza, ha scritto che se Palermo si riferisse alle posizioni di Tria, allora non vi sarebbe “nessun problema”. Con ciò Ella verosimilmente ha voluto rimarcare la distanza tra la posizione del ministro, ritenuta corretta per il modo in cui vede il contratto in questione con emendamenti e alcune riserve, e quella del governo. La distinzione è opportuna. Resta, però, da rilevare che anche un eventuale riferimento della specie sarebbe inammissibile. Il manager, maggiormente se di una Spa pubblica del rilievo della Cdp, deve esercitare le funzioni che la legge e l’ordinamento in genere, nonché le delibere degli organi deliberativi e di controllo gli affidano. Non deve essere marchiato da aggettivi, come voleva Luigi Einaudi, né deve avere sponsorizzazioni partitiche, a cominciare dalla nomina che, invece, dovrebbe essere decisa sulla base di criteri oggettivi e predeterminati per la valutazione del merito. Ma, come si è detto, salvo smentite, il riferimento sarebbe, invece, proprio al contratto a cui Cecchini si è riferito, sicché si tratta di un fatto abnorme che si spera non segni l’inizio di una nuova fase, nella quale l’autonomia e indipendenza di soggetti come la Cdp (ancorché da sottoporre a verifiche a consuntivo), venga messa in questione attraverso il giuramento di fedeltà. Del resto, annodandosi ancor più anche con questi improvvidi comportamenti, se confermati, il legame tra Cdp e governo, il rischio di sconfinare nel perimetro del debito pubblico, da parte della stessa Cassa, e di una riclassificazione Eurostat, si farebbe evidente, con tutte le conseguenze. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

  

I vertici di Cdp vengono scelti prima di tutto dal Mef. Il Mef risponde al governo. La Cdp risponde, direttamente o indirettamente, al governo. E’ così da sempre. Il punto non è se sia giusto o no che questo succeda ma qual è il contratto che si sceglie di seguire. Una Cdp sovranista, nazionalista, populista sarebbe una Cdp che forse piacerebbe a molti ma rischierebbe di aggravare invece che migliorare i problemi di un paese che non ha bisogno di uno stato più invasivo ma ha bisogno di un mercato più aperto.

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