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Lettere rubate

"La figlia unica", l'abbagliante viaggio nella maternità di Guadalupe Nettel

Annalena Benini

Un libro sul rifiuto ma anche sull’accoglimento incondizionato. La saggezza e la compiutezza del racconto sta tutta qui, nella capacità di far emergere tutte le differenze, tutti i mutamenti, tutti i passi indietro così come i progressi

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Devo ammettere che non mi sono mai sentita a mio agio con i bambini. Se si avvicinano li scanso, e quando è inevitabile dover interagire con loro, non ho idea di come farlo. Mi annovero tra le persone che si innervosiscono tantissimo se sentono il pianto di un neonato su un aereo o nella sala d’aspetto di uno studio, e che impazziscono se si prolunga per più di dieci minuti. Non che i bambini mi disgustino del tutto.
Guadalupe Nettel, “La figlia unica” (La Nuova Frontiera)

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Devo ammettere che non mi sono mai sentita a mio agio con i bambini. Se si avvicinano li scanso, e quando è inevitabile dover interagire con loro, non ho idea di come farlo. Mi annovero tra le persone che si innervosiscono tantissimo se sentono il pianto di un neonato su un aereo o nella sala d’aspetto di uno studio, e che impazziscono se si prolunga per più di dieci minuti. Non che i bambini mi disgustino del tutto.
Guadalupe Nettel, “La figlia unica” (La Nuova Frontiera)

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Tre donne affrontano la maternità. Ma in realtà sono più di tre. All’inizio del libro pensavo soltanto a Laura, che rifiuta di diventare madre perché vuole restare libera e viaggiare, perché non le piacciono i bambini e perché ha degli ideali a cui vuole restare fedele. Tanto che, quando a trentatré anni sente che il suo corpo sta cambiando e che la sua mente si sta facendo più accogliente, prende una decisione drastica. Ma Laura ha un’amica, Alina, e ha una vicina di casa, Doris, con un figlio infelice. E ha un nido di piccioni sul tetto del balcone. E ha un tormento dentro il suo bisogno di quiete. Si preoccupa per gli altri, sente il dolore degli altri. 

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Alina era proprio come lei, niente figli, ma ha cambiato idea e fa di tutto per rimanere incinta. “Anche se avevo militato tutta la vita per combattere contro quel fardello, ho deciso di non combattere contro quella gioia”, la gioia della sua amica, aspettare un bambino. Adesso, dentro questo romanzo sorprendente, abbagliante, con una scrittura limpida e forte e la bella traduzione dallo spagnolo di Federica Niola, adesso potremmo aspettarci che la figlia unica sia la figlia di Alina, che le sta crescendo nella pancia con una malformazione molto rara al cervello. Nascerà per morire, le dicono i medici. Nascerà e sarà una massa inerte, le dice il neonatologo.

 

 

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Alina e il suo compagno si oppongono, vogliono che questa bambina, Inés, abbia tutto l’amore del mondo in quei pochi minuti in cui vivrà. A Città del Messico, nelle strade sterminate e nei palazzi altissimi dove si trovano gli studi medici, con chilometri e chilometri di distanza tra un posto e l’altro. Laura sta accanto alla sua amica, la segue anche a rispettosa distanza, riflette sulle dinamiche dell’amore e del dolore, e intanto aiuta il figlio della sua vicina, non può fare a meno di pensare a lui e alla madre che non vuole mai uscire di casa. “La figlia unica”, io penso, risiede in ognuna di loro. Non posso rivelare che cosa succede a Inés, a Alina, Laura, e a Doris, la madre sola del bambino infelice e rabbioso, ma posso dire che non c’è niente di più interessante, straziante, vivo e profondo di questi legami tra donne che si tendono la mano oppure si chiudono nel loro guscio, o nella simbiosi con il proprio dolore, con la propria missione. 

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Guadalupe Nettel è una scrittrice che non ci si può permettere di perdere, e che con apparente naturalezza ci offre il cammino e il cambiamento dei suoi personaggi, di queste donne alle prese con tutta la complessità del vivere, e con il conflitto continuo tra amore, ragione, desiderio e anche istinto. C’è dentro questo libro sia il rifiuto sia l’accoglimento incondizionato, e il rifiuto e l’accoglimento si trovano nella stessa persona, nella stessa carne, nella stessa donna che sta affrontando la vita, a più riprese. E’ questa la saggezza, la compiutezza del racconto: la capacità di far emergere tutte le differenze, tutti i mutamenti, tutti i passi indietro così come i progressi. Questa è la saggezza perché questa è la vita, e non si può credere a personaggi che non siano in continua lotta con se stessi e con i propri desideri. 

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Leggere La figlia unica è il rapimento dentro un mondo che conosciamo benissimo ma che al tempo stesso non avevamo mai visto così nitido. “Se non te ne vai di casa, soffochi, se vai troppo lontano, ti manca l’ossigeno”, sostiene Vivian Gornick, scrittrice americana e femminista, citata da Guadalupe Nettel in questo libro. Funziona anche per l’essere madre, e per i molti modi di diventarlo, che non sempre passano per il corpo. Soffocare, scappare, sentirsi mancare l’ossigeno, precipitare, ma sempre aggrapparsi al filo d’erba della speranza. E a un’amica, a una sconosciuta vicina di casa, a una baby sitter, a una dottoressa, a una madre, a qualcuno che dica: so che cosa stai passando, io adesso resto qui con te.

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