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L’amore secondo Susan Sontag

Annalena Benini

Non puoi chiedere a qualcuno di modificare un sentimento

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Il cuore di mia madre fu spezzato spesso e gran parte di questo volume racconta l’elaborazione di perdite amorose, Per certi versi, ciò rischia di dare una falsa impressione della sua vita, poiché lei tendeva a scrivere i suoi diari più quando era infelice, soprattutto se lo era amaramente, e meno quando stava bene. Ma anche se le proporzioni non sono giuste, credo che l’infelicità amorosa facesse parte di lei tanto quanto il profondo senso di appagamento che traeva dalla scrittura. Non è la vita che mi sarei augurato per lei, ma questo non ha alcuna importanza.

David Rieff, figlio di Susan Sontag curatore di “La coscienza imbrigliata al corpo Diari e taccuini 1964-1980” (nottetempo)

 

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Susan Sontag è morta ormai da quindici anni, per un cancro al sangue, e verso la fine ha detto a suo figlio David: “Sai dove sono i diari”. Che aveva scritto per tutta la vita, a partire dai quindici anni (quando si è diplomata saltando tre anni di scuola). Un centinaio di quaderni a cui il figlio si è dedicato con ostinazione, e da cui non ha voluto eliminare niente. Sul sesso, sul dolore, sulla formazione individuale che l’ha portata alla maturità. Su suo figlio, anche. Questo secondo volume è totalmente immerso nell’età adulta di Susan, che diventa sempre più forte, ma anche sempre più esposta alle sofferenze d’amore: “Amare = la sensazione di vivere in una forma più intensa. Come l’ossigeno puro (diverso dall’aria)”. E poiché scrive solo per se stessa, scrive con una sincerità che si infila in tutte le pieghe della vita quotidiana: “La mia abitudine di fornire informazioni in cambio di calore umano. Come mettere scellini in un contatore, dura cinque minuti, poi devi inserirne un altro”. Riflette sulla bellezza di sua madre, sulla vita con suo figlio, sull’abbandono delle sue fidanzate, sui libri, sul Vietnam, sulla letteratura, sugli inganni della sua intelligenza, sul fatto che la vera ragione per cui indossa i pantaloni è per nascondere le gambe grosse.

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Questo diario è fatto di frammenti, impressioni, citazioni, elenchi. “Caratteristiche che mi attraggono (la persona che amo deve possederne almeno due o tre): 1. Intelligenza 2. Bellezza; eleganza 3. Douceur 4. Glamour; celebrità 5. Forza 6. Vitalità; entusiasmo sessuale: allegria; fascino 7. Espansività affettiva, tenerezza (verbale, fisica), affettuosità.

Una grande (e imbarazzante) scoperta degli ultimi anni: quanto sono sensibile alla numero 4”.

 

Nel gennaio del 1971, a trentanove anni, Susan Sontag annota: “Cosa mi fa sentire forte? Essere innamorata e lavorare. Devo lavorare”. Uno dei più importanti intellettuali (uomini e donne) del Novecento era ossessionata dall’innamoramento quanto dallo studio e dalla scrittura. In tutti questi campi lei si abbandonava, consegnava se stessa. L’amore non sempre la ripagava, il lavoro sì.

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“I prossimi dieci anni devono essere i migliori, i più forti, i più audaci”: Susan Sontag possedeva un’incrollabile speranza, una tensione al miglioramento del mondo e di sé, cadeva e si rialzava, e nel suo penultimo giorno di vita, ricorda suo figlio David, mentre lottava per l’aria, parlò di due sole persone: sua madre e Joseph Brodsky. Tra i frammenti che ha lasciato, questo mi sembra il più semplice, il più indiscutibile: “Non puoi mai chiedere a qualcuno di modificare un sentimento”.

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