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La verità e lo sgomento del diventare madre

Annalena Benini

Mia figlia piange e io la devo salvare. Nel suo ultimo romanzo Rossella Milone non risparmia niente della rabbia, e del bisogno di scappare, di ritrovare parti di sé che erano sparite

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Ora lo so.

Ora anch’io tengo negli occhi una specie di vino che mi fa bruciare la testa. Mia figlia piange. Il suo pianto mi accende il cervello come una fiammata improvvisa. Mia figlia piange e io non sono un animale. Cosa c’è? le chiedo, ma lei può rispondermi solo con quelle grida. Un pianto che tira via l’aria e ti dice Non ce la fai, con un altro essere umano o ti salvi o muori.

Rossella Milone, “Cattiva” (Einaudi)

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Da quando è nata la bambina, Emilia piange ogni giorno alle sette di sera, puntuale. Ma non lo sa, non se ne accorge. Allatta e le scendono le lacrime sulle guance. Mentre nasce la bambina, invece, Emilia cerca di scacciare il dolore, ma sente uscire da sé il suono sordo del terremoto, sente la Terra ruggire, anzi lei sdraiata sul lettino è la Terra che ruggisce, urla, smuove e trema, e tremando fa germogliare ogni cosa. Fa bene e fa male, questo ruggito di donna, di madre. Fa nascere una bambina con le orecchie grandi e le ciglia lunghe, squassa il corpo e poi lo lascia informe, espanso: un corpo che sa tutto, sa che si deve allargare, contorcere per accogliere e tenere al riparo, mentre una madre non sa niente e continua a chiedere: com’è che si fa? E dice: non sono capace. Non sono capace ma al tempo stesso sono l’unica capace, la bambina ha bisogno di me, di questo corpo dolorante, del mio seno duro, dell’incavo del mio collo, di me che faccio la doccia per cinque minuti soltanto e corro subito da lei. Rossella Milone, che è tornata con un romanzo dopo “Il silenzio del lottatore”, i racconti usciti per minimum fax, racconta la verità e la ferocia del diventare madre. Il mutamento del corpo, l’acutezza del dolore, l’immensità della fatica. E lo sguardo degli altri. La vicina di casa che consiglia il rumore dell’aspirapolvere per calmare la piccola, il marito buono con una pazienza facile, i genitori che non si ricordano più niente, di quando eri piccola tu: a un certo punto hai iniziato a dormire la notte, ma che importa, da lì devi passare, e non devi allattare così sei pazza? Ma dieci minuti da una parte e poi subito dieci minuti dall’altra. Lo sfinimento delle domande, per chi era abituato a dare le risposte, anche nel lavoro, e come atteggiamento verso la vita. Adesso non ci sono più risposte, c’è una bambina che piange, che ha fame, che si annoia, è a disagio, oppure sazia, ma soprattutto è un essere umano nuovissimo, sconosciuto.

  

Rossella Milone non risparmia niente dello sgomento. Anche della rabbia, e del bisogno di scappare, di ritrovare parti di sé che erano sparite. Non risparmia niente della verità. “Mia figlia deve sapere che noi siamo quello, che non siamo uno dentro l’altra, e lei è già sola, come lo sono io con lei, come lo è Vincenzo con me, ma ci sono modi, a volte ci sono i mezzi per entrare nelle persone e non restare soli. Mia figlia deve sapere che per salvare lei dobbiamo prima salvare noi”. Cattiva: una madre è una persona buona e una persona cattiva, ha pensieri cattivi, pensieri pazzi, urla, e poi corre, sa di essere un animale e corre, urla come la terra durante il terremoto e corre. “Quando mia figlia piange io la devo salvare”. Non gliel’ha insegnato nessuno, non gliel’ha insegnato sua madre. Ogni madre è diversa, è cattiva e buona insieme in un modo diverso. Emilia voleva scoprire i segreti delle cose, nella vita, e adesso le sembra di impazzire a non capire i segreti della sua bambina. Ma corre e la salva, e le scendono le lacrime alle sette di sera, e noi che leggiamo sentiamo questo urlo della terra, questo terremoto interiore che ci fa correre, sempre.

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