Dettaglio del ritratto di Čechov di Osip Braz (1898)

A proposito di Cechov, che si difendeva dall'amore o fuggiva, come i suoi personaggi

Annalena Benini

Nella biografia scritta da Irène Némirovsky tutto il grande talento di Cechov, la sua umanità, la capacità di sentirsi vicino ai più disgraziati che esistono

Se mi dai parola che non ci sarà a Mosca anima viva che sappia del nostro matrimonio, finché non avrà avuto luogo, allora ti sposo il giorno stesso del mio arrivo. Non so perché, ho una paura terribile degli sposalizi, delle congratulazioni, dello champagne che bisogna tenere in mano e nello stesso tempo sorridere con aria vaga.

Anton Cechov, lettera a Olga, 1901, Irène Némirovsky, “La vita di Cechov”, Castelvecchi


     

Tutti i personaggi di Cechov amano a metà o si difendono dall’amore, o non riescono mai a compiere il gesto di afferrarlo, si rassegnano a perderlo o ad averne solo un pezzetto. Leggendo questa biografia scritta da Irène Némirovsky, nata in Ucraina un anno dopo la morte di Cechov, affascinata da lui e dalla sua opera, e incrociandola con i racconti, come “Sull’amore”, e con i ricordi dell’amico e critico Ivan Bunin, sembra davvero che Anton Cechov assomigliasse a ognuno dei suoi eroi imperfetti e arrendevoli, miti e ironicamente rassegnati all’insensatezza dell’esistenza, ma ancora pieni di speranza per l’umanità.

 

Irène Némirovsky ha raccontato un uomo, e prima un ragazzo, abituato a denigrare se stesso, prima a sciupare il talento e poi a correre contro il tempo che lo incalzava, a sentirsi sempre solo in mezzo al rumore della gente, nei teatri, con le attrici, dentro la famiglia che amava. Solo dentro la sua testa, mentre mimava l’allegria e si mostrava affascinante, ma i suoi pensieri erano tristi e malinconici, anche mentre veniva follemente amato. Dalle amiche, dalle amanti, dalla futura moglie Olga, attrice, a cui scriveva: “Sei terribilmente fredda, come del resto si conviene a un’attrice. Non ti irritare, cara, te lo dico così, tra le altre cose…”. Ma lei lo amava e aveva deciso di conquistarlo davvero, e per sempre. E Irène Némirovsky, che ha dato alla vita di Cechov il suo sguardo femminile, ha aggiunto che in Russia era la donna che decideva quel genere di cose. L’uomo rimetteva volentieri la propria vita nelle mani della compagna, e però Cechov era sfuggente, scriveva raramente, nessuno sapeva che cosa ci fosse davvero nelle profondità della sua anima, rideva ma si allontanava, ripartiva, scriveva, accettava gli applausi con poca convinzione, ed era malato, diceva a tutti: “Vivo come un monaco” (e non era vero).

 

Lei gli faceva mille domande, e metteva in atto strategie: “Eppure tu hai un cuore affettuoso, tenero, perché lo indurisci?”. Lui non poteva sopportare qualsiasi cosa somigliasse a una scenata, a una spiegazione, a quei dialoghi fra due persone che si sfiniscono per svelarsi l’anima l’un l’altro senza mai riuscirci. “Era meglio rassegnarsi e tacere”, come i suoi personaggi, era meglio partire con il primo treno della mattina, scrivere lettere dopo qualche settimana, consegnare un nuovo racconto, pensare a Il giardino dei ciliegi. Che fu un trionfo, anche se lui salì sul palco a ricevere le ovazioni ma faceva fatica a stare in piedi, e il pubblico adorante gridava: “Sedetevi! Riposatevi, Anton Pavlovic!”.

 

Olga era già riuscita a farsi sposare, gli aveva detto non voglio più continuare a essere la tua amante, non voglio più raggiungerti la notte di nascosto, con tua madre e tua sorella che ci ascoltano. “E’ impossibile, hai un’anima così raffinata, possibile che tu non capisca? Ricordi com’era penoso quest’estate, che tortura era. Fino a quando ci nasconderemo? E perché?”. Lei gli scriveva queste cose e continuava le sue tournée, e Cechov allora impose soltanto la segretezza delle nozze, per pudore, per imbarazzo, per quel distacco ironico che porta le persone a vedersi da fuori, e a ridere sempre prima di sé che degli altri. Il grande talento di Cechov, la sua umanità, la capacità di sentirsi vicino ai più disgraziati che esistono. E’ morto dicendo: “E’ tanto che non bevo champagne”, e sorridendo con il suo sorriso meraviglioso che ha illuminato tutta la sua letteratura.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.