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Virginia che lottava per la dignità di esistere

La giovinezza di Virginia, “donna, orfana e folle”, che ha vinto la libertà per sé e per tutte

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Carissimo Leonard, (…) io voglio tutto… amore, bambini, avventura, intimità, lavoro. Dunque, un momento sono quasi innamorata, voglio che tu sia sempre con me, sappia tutto di me, e un attimo dopo sono selvatica e distante. A volte penso che sposandoti avrei tutto… ma poi? E’ forse il lato sessuale a dividerci? Come ti ho detto brutalmente l’altro giorno, non provo attrazione fisica per te. Ci sono dei momenti – l’altro giorno quando mi hai baciata, per esempio – in cui non sono più sensibile di un sasso.

 

Virginia Stephen a Leonard Woolf, 1° maggio 1912

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“Virginia Woolf. Ritratto della scrittrice da giovane” (Utet)

 


 

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Con quanta libertà Virginia scrive a Leonard Woolf, che quattro mesi prima le ha dichiarato il suo amore provocandole una delle sue crisi. Gli dice che vuole tutto, anche dei bambini, gli dice che non è sicura di poterlo amare, ma gli dice anche: “Però mi hai anche resa molto felice. Vogliamo tutti e due un matrimonio che sia una cosa viva e impetuosa, sempre accesa, sempre appassionata, non morta e facile come la maggior parte delle unioni. Chiediamo molto alla vita, no? Forse l’otterremo, che bellezza!”. Virginia ha trent’anni e sta diventando la scrittrice che è sempre stata, sta cercando di liberarsi dal marchio che per pigrizia la sua famiglia le ha cucito addosso: Virginia è pazza… (la follia circola in famiglia e quindi viene usata per spiegare gli attacchi di Virginia, quando non vuole più mangiare, quando si paralizza e non riesce a superare una pozzanghera). Virginia da giovane è, come ha scritto Nadia Fusini nel saggio introduttivo a questo libro fatto di lettere fiume, lettere confessione, lettere romanzi, lettere spiritose, “orfana, donna e folle”, e allora ha combattuto per liberarsi dei vicoli ciechi e delle categorie culturali e morali di quell’epoca tardo-vittoriana. L’ha fatto per sé, ma con la consapevolezza di farlo per tutte. Ci sono le lettere a Violet Dickinson, di tredici anni più grande, di cui Virginia ventenne si innamora e che la introduce nella possibilità di scrivere recensioni per i giornali, e sono lettere vivissime, scherzose, serie, appassionate: nel 1903, d’estate, Virginia inizia la lettera descrivendo l’orgasmo raggiunto – come mai prima – grazie a Violet. E’ un rapporto di amicizia, di seduzione, di maternità, di comunione d’intenti e di sorellanza. Virginia tiene per un mese nascosta a Violet la morte per tifo di suo fratello Thoby, per non spaventare l’amica, ammalata della stessa febbre. Dimostra un senso di protezione e di vicinanza, anche una dimenticanza di sé che contrasta con l’idea che ci siamo fatti della scrittrice egoista e ossessionata da se stessa. Una ragazza famelica di vita, che ha conosciuto il dolore, che si preoccupa per suo padre e lo accudisce, e che scrive lettere grandiose e vivide. “Come puoi immaginare non mi lavo mai e non mi pettino; percorro la brughiera selvaggia a passi enormi; declamo odi di Pindaro balzando di roccia in roccia; esulto nell’aria che un po’ mi schiaffeggia e un po’ mi accarezza, come un padre severo ma affettuoso!”.

 

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Virginia lotta per la dignità di esistere, giorno dopo giorno, studia e scrive, cerca la solitudine e il lavoro (“quattro persone nelle stesse camere d’affitto sono quasi peggio di tre giorni di ponte”). Quando incontra Leonard Woolf, “un ebreo squattrinato”, come lo definisce in una lettera a Violet, capisce che la sua vita può consacrarsi alla scrittura: “Leonard considera lo scrivere il mio lato migliore. Lavoreremo molto sodo. Abbiamo una quantità di progetti”. Con lui accanto, potrà avere quella stanza tutta per sé, e qualcuno che crede intensamente in lei. “Però non so proprio che cosa ci porterà il futuro. Ho quasi paura di me stessa”. A Violet chiede scherzosamente l’approvazione per il matrimonio, le propone di incontrarsi tutti e tre: “Abbiamo parlato molto di te. Gli ho detto che sei alta due metri e che mi vuoi bene”.

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