Neil Gaiman

Dèi e supereroi

Mariarosa Mancuso

Il vangelo secondo Neil Gaiman è perfetto per il formato serie tv. Il cinema non era abbastanza

La peste aveva colpito Atene, fermarla pareva impossibile (nel quinto secolo prima di Cristo, come per molto tempo a venire, i mezzi a disposizione erano scarsi e inefficaci: sono i luoghi e i momenti dove sognano di vivere gli antivaccinisti). L’ultimo saggio interpellato – si chiamava Epimenide – consigliò di erigere un altare e un tempio “al Dio più adatto”. Lo racconta Diogene Laerzio, storico e gran pettegolo del mondo antico. Non privo di ironia, riferisce la storiella – o magari la inventa di sana pianta. Se davvero gli dèi hanno intenzione di aiutarci, perché rischiare una gaffe facendo sacrifici alla divinità sbagliata?

 

Shadow Moon (così si chiama un prigioniero nero rilasciato da pochissimo), è molto più confuso e molto più infelice. Ha appena preso atto che la moglie è morta in un incidente, assieme al migliore amico di entrambi, e i due avevano una tresca. Viene importunato da un certo Mr. Wednesday, sinistro impiccione che sembra conoscere a menadito le sue disgrazie recenti e gli offre un lavoro: qualcosa tra l’assistente e la guardia del corpo. Si ritrova in mezzo a una faida tra vecchie e nuove divinità. Da una parte gli dèi della mitologia classica, nordica, induista, slava, egizia, africana, pellerossa, con la speciale partecipazione della Regina di Saba. Dall’altra gli dèi della contemporaneità: la tecnologia e i media, in tutte le loro incarnazioni. Litigano per accaparrarsi le preghiere degli umani, senza le quali svanirebbero.

 

E’ il vangelo secondo Neil Gaiman, scrittore di libri e fumetti nato in Gran Bretagna 56 anni fa, prima di conquistare l’americana DC Comics con “Sandman”, il signore dei sogni (discende dal Mago Sabbiolino, o Uomo della Sabbia, che abita nel racconto ottocentesco di E. T. Hoffman). Chi ha letto il suo premiatissimo e coltissimo romanzo “American Gods” (Mondadori) lo riconosce subito. Uscito nel 2001, attendeva un formato audiovisivo che gli rendesse giustizia. Il cinema non era grande abbastanza, sarebbe uscito un bigino di mitologia comparata con le note a piè di pagina per spiegare “chi era chi”. In alternativa, si sarebbe dovuto sfoltire radicalmente il pantheon. La serie tv è la collocazione perfetta: tutti trovano il loro posto (se non è per questa stagione sarà per la prossima) e lo sfarzo visivo attrae lo spettatore anche se le spiegazioni sono al minimo (anche meno del minimo, nelle prime puntate). Il risultato – notevole – va in streaming su Amazon. La traccia fornita fin qui basta per non smarrirsi negli 8 episodi, a forte rischio di binge watching.

 

Bryan Fuller e Michael Green sono i fantasiosi e molto coraggiosi showrunner. Oltre alle difficoltà intrinseche, esistono questi casi schiere di fanatici che vivono come un’offesa personale, o come un delitto di lesa maestà, qualsiasi cambiamento o differenza con il Testo Sacro. Tra le credenziali di Mr Fuller, “Pushing Daisies”, ovvero spingere le margherite. Da sottoterra, si intende: era la storia di un ragazzino che con un tocco delle mani risuscitava, e con un secondo tocco uccideva (sette Emmy, due stagioni a partire dal 2007, piaciuta allo scarso pubblico che adora il black humour). Tra le credenziali di Mr Green, il “Blade Runner 2049” prossimo venturo, diretto da Denis Villeneuve.

 

Nel magnifico cast spicca – anche perché ha conquistato un ruolo strepitoso – Gillian Anderson che fu Dana Scully in “X-Files”. Media – il suo nome divino – prende di volta in volta i tratti di Judy Garland, David Bowie, Marilyn Monroe, truccata e imparruccata di conseguenza.

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