Hitler a Time Square

Mariarosa Mancuso

Come sarebbe il mondo se la Germania e il Giappone avessero vinto? Amazon lo immagina così

La svastica è a Times Square. Non più sul sole, come recitava il primo titolo italiano del romanzo scritto da Philip Dick nel 1962. Quando la fantascienza era fantascienza: un genere non ancora sottoposto all’abbraccio mortale della filologia. Quindi la si poteva tradurre liberamente, meglio se in modo allettante per il lettore (altri e più seri misfatti si compivano, nelle collane mondadoriane, e il discorso vale anche per i gialli: i romanzi troppo lunghi per il format venivano accorciati, i romanzi troppo corti per il format venivano allungati).

   

  

Non c’è dubbio che “La svastica sul sole” attirasse più lettori di “L’uomo nell’alto castello”, come poi il romanzo verrà con fedeltà intitolato una volta caduto in mano ai cultori di Philip Dick, che nel frattempo era divenuto scrittore veneratissimo. Tanto peggio per chi lo aveva letto prima di vedere “Blade Runner”, prima di chiedersi se gli androidi sognano pecore elettriche o pecore a batuffoli come tutti noi, prima di scoprire che ogni trama interessante veniva da un suo romanzo, racconto, frammento. Come sempre succede in questi casi, il passaggio dal genere basso alla letteratura-alta-con-profezia-di sventura ce lo ha restituito più tronfio e più serio.

 

 

In “La svastica sul sole” la più tremenda delle sventure è già accaduta. Giappone e Germania hanno vinto la Seconda guerra mondiale, sganciando una bomba atomica su Washington, e si sono spartiti gli Stati Uniti. La costa sul Pacifico ai giapponesi, la costa sul’Atlantico ai nazisti, una zona neutrale in corrispondenza delle Montagne rocciose (lì son finiti i neri, e da quelle parti nessuno garantisce la sicurezza di nessuno).

 

Dal romanzo, gli Amazon Studios – ebbene sì, esistono, se non altro per aver commissionato una serie tv a Woody Allen, e prossimamente distribuiranno il prossimo film di Nicolas Winding Refn, “The Neon Demon”, speriamo bello come “Drive” e non estetizzante come “Solo Dio perdona” – hanno ricavato un episodio pilota. Accertato il gradimento del pubblico, il 20 novembre saranno disponibili su Amazon Instant Video i dieci episodi della prima stagione. Il pilot di “The Man in the High Castle” verrà presentato in anteprima italiana al Roma Fiction Fest (la manifestazione si inaugura oggi e chiuderà domenica 15, tutti i particolari sul sito).

  

“I want my country back”, dice il giovanotto che vorrebbe arruolarsi nella resistenza contro i nazisti del Grande Reich. Lui è troppo giovane, papà gli ha raccontato tutto, si mette alla guida di un camion e parte verso il Colorado. Nel 1962 alternativo immaginato da Philip Dick, Adolf Hitler ha un Parkinson conclamato, i giapponesi attendono la sua morte per sferrare l’attacco contro gli ex alleati, meditano perfino di sganciare un’altra atomica. I resistenti girano con rulli di pellicola, l’etichetta dice “la cavalletta non si alzerà più in volo”, nelle immagini vediamo lo sbarco in Normandia e la conferenza di Yalta. Insomma, il mondo occidentale come noi lo conosciamo. Non un postaccio dove ogni martedì gli ospedali bruciano storpi e malati terminali (lo si capisce dalla cenere che esce dai camini).

  

Produce Ridley Scott, dirige Frank Spotnitz che aveva già lavorato come sceneggiatore e produttore per “X-Files” (speriamo non si faccia troppo prendere la mano dalle atmosfere, il pilot non va spedito). L’altra distopia in anteprima al Roma Fiction Fest – la serie francese “Trepalium” di Antarès Bassis e Sophie Hiet, con i Disoccupati da una parte del muro e gli Impiegati dall’altra, alla fine del XXI secolo – quanto a brividi non può competere.

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