Più Mad men, grazie

Mariarosa Mancuso
Anche noi abbiamo le nostre rimostranze da fare a Matthew Weiner, come i twittaroli

    I lettori dei feuilleton, o romanzi d’appendice, non avevano modi sicuri per suggerire allo scrittore un cambio di rotta: più amore, più avventura, più tenebre, più cattivi, via quell’antipatico, che fine ha fatto la servetta carina sbucata a metà del capitolo precedente? Comunque, si facevano capire: i fan di Sherlock Holmes, e i loro soldini, convinsero Arthur Conan Doyle a ridare vita al detective precipitato con il cattivo Moriarty nelle cascate svizzeroalpine di Reichenbach.

     

    Per uno scrittore popolare, la pressione può trasformarsi in un incubo: lo aveva capito bene Stephen King quando scrisse “Misery” (“Misery non deve morire” era il film di Rob Reiner con Kathy Bates che spezza le gambe al povero James Caan, colpevole di aver ucciso la sua eroina romanzesca). Ora che al posto dei feuilleton ci sono le serie, e che tutti abbiamo un account twitter, far sapere a uno scrittore che sta prendendo – secondo noi, almeno – una cantonata è facile e immediato.

     

    Ne ha fatto le spese Matthew Weiner di “Mad Men” (e dire che nelle interviste raccomanda agli spettatori di non mandare tweet mentre guardano la sua serie). Non era andata in onda la seconda puntata della settima stagione – l’ultima, divisa in due tronconi trasmessi a distanza di un anno per alleviare il dolore del distacco – che i fan lamentavano la presenza della cameriera. L’avevamo vista nell’episodio precedente (la serie ha ripreso ad andare in onda su Amc lo scorso cinque aprile) mentre dietro il banco della luncheonette tra un uovo strapazzato e un pancake leggeva Steinbeck. Detto francamente: con più esibizionismo di quello mostrato da Don Draper quando sulla spiaggia leggeva “L’inferno” di Dante (era l’inizio della sesta stagione, anno 2013 fuori dalla tv, e anno 1968 dentro la tv).

     

    Cento dollari sul tavolo per pagarne una decina: un bel modo per farsi ricordare da una ragazza, dopo averla chiamata “Mildred” in omaggio a James Cain e al suo romanzo “Mildred Pierce” (lei ha l’aria seccata anche per questo). L’anno televisivo ora è il 1970, il manifesto prima era psichedelico, questo secondo mostra Don Draper a bordo di una Cadillac, con tanto di specchietto retrovisore. Un po’ scontato per uno che sappiamo non essere quel che dice di essere – ha scambiato la piastrina con un soldato morto durante la guerra di Corea – e che sull’equivoco ha campato decenni.

     

    Una moratoria sulla cameriera Diana

    François Truffaut diceva che ognuno ha il proprio mestiere, e quello di critico cinematografico. Altri tempi: oggi ognuno ha il proprio mestiere, e quello di scrittore di serie. Quindi anche noi abbiamo le nostre rimostranze da fare a Matthew Weiner, come i twittaroli. Mancano solo sette puntate al gran finale – che dovrà essere un finale, vietato spegnere (letteralmente) la luce come nell’ultimo episodio dei “Soprano” – e due già se ne sono andati appresso alla cameriera.

     

    Uno spreco, considerati i personaggi di cui siamo curiosi: Peggy che non riesce a trovare un fidanzato (così impara ad avere successo nel lavoro). Sally, figlia di Don e della prima moglie Betty in piena crisi adolescenziale. E dov’è finita Megan, l’ex segretaria diventata moglie (galeotta fu Disneyland con i bambini) che all’inizio della quinta stagione ancheggiava cantando “Zou Bisou Bisou”? Sono divorziati, Don torna in una casa vuota e ascolta la segreteria telefonica “umana” (come in “Domenica maledetta domenica” di John Schlesinger, con Glenda Jackson e Peter Finch: una signorina annotava i messaggi e li ripeteva all’abbonato). Incrociamo le dita, sperando che Matthew Weiner abbia le idee chiare sulla cameriera Diana.