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La versione di Cassese

Sciogliere i lacci della burocrazia con un’immersione nella modernità

Attenti con le riforme: bisogna capire prima dove sta il male. Poi eliminare il superfluo e badare a tempi e qualità dei servizi. Parla Sabino Cassese

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Il presidente del Consiglio ha annunciato al Sole 24 Ore del 22 maggio scorso la “madre di tutte le riforme”: “Semplificazione amministrativa e burocratica”. Ma non è lui solo che vuole farlo. Lo stesso giorno si è espresso per la semplificazione anche il ministro per gli Affari regionali. Ed ecco un piccolo florilegio di altre dichiarazioni antiburocratiche, in senso cronologico inverso, per apprezzare il crescendo: Vincenzo De Luca (Repubblica, 18 maggio): Fare una sburocratizzazione radicale del paese. Giuseppe Conte (Giornale, 16 maggio): Sburocratizzare la macchina statale. Giuseppe Conte (Repubblica, 15 maggio): Abbiamo bisogno di far correre l’economia con tagli della burocrazia. Matteo Renzi (Avvenire, 15 maggio 2020): La burocrazia va messa in quarantena. Giuseppe Conte (Giornale, 19 aprile): Ancora oggi la burocrazia compromette l’efficienza della pubblica amministrazione e costituisce un freno alla crescita economica e sociale del Paese. Carlo Bonomi (Corriere della Sera, 9 aprile): Oggi non ci possiamo permettere più le lentezze burocratiche che hanno paralizzato il sistema produttivo. Silvio Berlusconi (Corriere della Sera, 9 aprile): Svecchiare e vivificare gli antichi riti della burocrazia. Matteo Renzi (Repubblica, 8 aprile): Abbiamo cancellato diritti costituzionali per il virus, potremo pure mettere in quarantena la burocrazia per qualche settimana. Giuseppe Sala (Stampa, 30 marzo): Tanto sul fronte dei poteri locali che della giustizia bisogna smantellare la burocrazia. Silvio Berlusconi (Repubblica, 30 marzo): Stiamo preparando […] un vasto piano di interventi da 100 miliardi di euro abbattendo tutti i vincoli burocratici. Matteo Renzi (Corriere della Sera, 30 marzo): Possiamo chiudere la burocrazia nel ripostiglio per qualche mese?. Vincenzo Spadafora (Repubblica, 29 marzo): La prima esigenza è scavalcare qualsiasi burocrazia.

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Il presidente del Consiglio ha annunciato al Sole 24 Ore del 22 maggio scorso la “madre di tutte le riforme”: “Semplificazione amministrativa e burocratica”. Ma non è lui solo che vuole farlo. Lo stesso giorno si è espresso per la semplificazione anche il ministro per gli Affari regionali. Ed ecco un piccolo florilegio di altre dichiarazioni antiburocratiche, in senso cronologico inverso, per apprezzare il crescendo: Vincenzo De Luca (Repubblica, 18 maggio): Fare una sburocratizzazione radicale del paese. Giuseppe Conte (Giornale, 16 maggio): Sburocratizzare la macchina statale. Giuseppe Conte (Repubblica, 15 maggio): Abbiamo bisogno di far correre l’economia con tagli della burocrazia. Matteo Renzi (Avvenire, 15 maggio 2020): La burocrazia va messa in quarantena. Giuseppe Conte (Giornale, 19 aprile): Ancora oggi la burocrazia compromette l’efficienza della pubblica amministrazione e costituisce un freno alla crescita economica e sociale del Paese. Carlo Bonomi (Corriere della Sera, 9 aprile): Oggi non ci possiamo permettere più le lentezze burocratiche che hanno paralizzato il sistema produttivo. Silvio Berlusconi (Corriere della Sera, 9 aprile): Svecchiare e vivificare gli antichi riti della burocrazia. Matteo Renzi (Repubblica, 8 aprile): Abbiamo cancellato diritti costituzionali per il virus, potremo pure mettere in quarantena la burocrazia per qualche settimana. Giuseppe Sala (Stampa, 30 marzo): Tanto sul fronte dei poteri locali che della giustizia bisogna smantellare la burocrazia. Silvio Berlusconi (Repubblica, 30 marzo): Stiamo preparando […] un vasto piano di interventi da 100 miliardi di euro abbattendo tutti i vincoli burocratici. Matteo Renzi (Corriere della Sera, 30 marzo): Possiamo chiudere la burocrazia nel ripostiglio per qualche mese?. Vincenzo Spadafora (Repubblica, 29 marzo): La prima esigenza è scavalcare qualsiasi burocrazia.

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Insomma, tutti d’accordo contro la burocrazia, indicata come la causa di tutti i mali. Il movimento d’idee antiburocratiche è esso stesso un interessante oggetto di studio. Muove armato contro un oggetto di cui si sa così poco. Conosciamo solo i numeri, e neanche di questi possiamo fidarci. Lavorano per i poteri pubblici solo i 3 milioni e mezzo di addetti censiti dalla Ragioneria generale dello Stato e dall’Istat? E dove sono tutti gli addetti delle organizzazioni satelliti? E i concessionari? Che cosa sappiamo dei titoli di studio dei dipendenti pubblici e privati delle amministrazioni e delle organizzazioni satelliti? Che cosa sappiamo del loro reclutamento? Quanti sono entrati per concorso, quanti grazie a sistemazioni in ruolo? Come mai il pubblico impiego ha un tasso di femminilizzazione superiore a quello dell’impiego privato? Quali sono le condizioni di lavoro, le motivazioni, gli incentivi, le sanzioni? Qualcuno si è accorto che il metronomo dell’amministrazione, i tempi per la conclusione dei procedimenti, è stato fermato tre volte nel corso della pandemia?

 

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Vuol dire che i nemici della burocrazia si propongono di lottare contro un nemico che non conoscono?

Non solo questo. Qualcosa di più. Voglio dire che la lotta alla burocrazia dovrebbe cominciare con una lotta del corpo politico contro se stesso e le sue decisioni. Sono queste ultime che hanno creato un sistema di incentivi al non fare, in due modi. Il primo è consistito nel porre sulle spalle dei burocrati sanzioni sproporzionate: Stefano Micossi e Marcello Clarich, sul Sole 24 Ore del 22 maggio scorso ne hanno fatto un primo elenco, proponendo i rimedi. E l’elenco non è completo. Il secondo consiste nell’ampliamento dei controlli preventivi, collaborativi, concomitanti (che nel 1994 erano stati ridotti), con la conseguente cogestione burocrazia-Corte dei conti-Anac. Insomma, sulla burocrazia è calata la scure del sospetto. Di tutto questo sono responsabili i burocrati o i governi e le loro maggioranze parlamentari?

  

Però ci sono poi i pareri, le consultazioni, le procedure parallele, che frenano.

La Confederazione dell’artigianato – Cna – ha preparato due eccellenti rapporti sull’intrico delle procedure, che hanno tutte dietro una legge, che regola i labirintici percorsi. Molti di questi sono necessari, perché tutelano ambiente, territorio, beni culturali e così via. Ma non è necessario trasformarli in un labirinto, basta razionalizzarli, organizzarli in parallelo, non in sequenza, aggiornarli periodicamente, sopprimendo i passaggi che diventano superflui, evitare di addizionare senza mai sottrarre. Così si potrebbe evitare di rallentare quando bisognerebbe accelerare, come osservato dal presidente di Confindustria Lombardia sul Sole 24 Ore del 25 aprile scorso.

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Per non parlare dei freni che governo e maggioranze parlamentari, lamentandosi della burocrazia, pongono a se stessi, quali i quasi cento atti applicativi richiesti dal decreto legge “Rilancio”.

Qui emergono le debolezze degli staff ministeriali, che sono i veri collettori di richieste, che poi divengono leggi. Essi non valutano, filtrano, coordinano; si limitano a recepire o a redigere. E poiché molti sono giudici scrivono con lo stile argomentativo e la ricchezza di riferimenti e allusioni interne che sono propri dei giudici. Qui viene la vera carenza interna del corpo amministrativo, questa tutta imputabile alla burocrazia, quella di esser rimasta ferma all’Ottocento, a una fase pre tayloristica, mentre le scienze e le medicine organizzative hanno fatto passi da gigante nell’ultimo secolo. Il perché di questo ritardo culturale e operativo? Non saprei scegliere tra questi quattro motivi. Nessuno ha avuto il coraggio di mettere le mani nel “piccolo mondo antico” degli uffici pubblici. Conviene avere un’amministrazione debole, che consente alle forze politiche di fare e disfare. Per troppi anni è prevalsa l’idea meccanicistica della burocrazia, quella di impiegati-burattini, che i fili della legge e della politica possono muovere a piacimento. Si afferma l’idea che della burocrazia si possa fare tranquillamente a meno, con leggi “autoapplicative”, che consentono al Parlamento di amministrare legiferando. La lascio libero di scegliere tra queste quattro spiegazioni.

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Tiriamo le fila di questo discorso. Vuol dire che semplificare è difficile. Che bisogna prima capire da dove cominciare e dove si annida la malattia. Che questa non è tutta dentro la burocrazia, ma in parte è a Montecitorio e a Palazzo Madama. Che molta parte di questa critica della burocrazia è una critica dello Stato, ma che bisogna evitare di buttare il bambino insieme con l’acqua sporca. Che, finché non si chiarirà dove con precisione sta il male, non si troverà il rimedio. Anzi, che è un caso di co-morbilità, quindi bisogna avere a disposizione più farmaci.

Aggiungo: che i riformatori dell’ultima ora possono trovarsi nelle condizioni di Lutero, che andato a Roma con cipolle, tornò in Germania con aglio. C’è più di un secolo di disattenzione per l’amministrazione. E’ meritorio accorgersene, ma l’opera è difficile. Bisogna, innanzitutto, censire i processi di decisione interni, poi scioglierli. Bisogna decidere quel che è necessario, eliminare il superfluo, ma sapendo che qualcuno strillerà. Accertare quali sono i vincoli insuperabili (ad esempio, le procedure di standardizzazione e certificazione), quelli superabili. Superare i pregiudizi dei giustizialisti che vedono malaffare a ogni angolo, e liberare dai lacci la burocrazia, richiedendo a essa, nello stesso tempo, una immersione nel mondo moderno, nel quale contano tempi e qualità dei servizi. Decidere a chi tocca il compito di provvedere, perché quelli che sono fuori non sanno, quelli che stanno dentro non vedono.

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