I padroni del web

Risolvere l’asimmetria tra ciò che viene sottratto e ciò che viene dato all’utente della rete. Una possibile soluzione

Più della metà dei 7 miliardi e mezzo di abitanti del pianeta è connessa al web. E questo è accaduto in soli trent’anni.

Dunque, questo è il bene o utilità diffuso più rapidamente. Ma in che senso è un bene? Quali caratteristiche ha? Come ci spartiamo le utilità che offre? C’è chi ne gode più di altri? Si ripresenta per il web quello che è accaduto per la ricchezza, per il capitale, cioè che qualcuno ne gode più di altri, che il primo sfrutta i secondi? 

  

Mi pare chiaro: c’è una asimmetria tra i detentori di piattaforme e i frequentatori di piattaforme, come ha osservato giustamente il filosofo torinese Maurizio Ferraris in “Scienza nuova. Ontologia della trasformazione digitale”, Torino, Rosenberg & Sellier, 2018, un libro nel quale è contenuto anche un contributo del sociologo dell’innovazione e “data scientist” Germano Paini.

Tesi interessante, fondata sull’osservazione secondo la quale c’è una mobilitazione che produce dati senza avere conoscenza e un mobilitatore che raccoglie dati e li trasforma in conoscenza. La registrazione è asimmetrica: accessibile a una parte (il mobilitante), ma non all’altra (il mobilitato). Un nuovo rapporto tra signoria e servitù?

  

Proprio questa è l’asimmetria, che riproduce un rapporto tra padrone e lavoratore, sfruttatore e sfruttato.

Non corriamo. In questa materia vi sono abbastanza oscillazioni tra timori ed entusiasmi. Facciamo un esame attento di ciò che si dà e di ciò che si riceve. Le utilità del “navigatore” sono molte: riceve notizie (come avere a disposizione in ogni momento un giornale), ha a disposizione una biblioteca enorme, dispone di una rete di comunicazione, scrive lettere e le fa giungere a destinazione, ha a disposizione uno strumento di intrattenimento, può far monitorare il suo stato di salute. Le pare poco? Poi, ci sono i vantaggi collettivi, nell’economia, nei servizi pubblici, nella società, che sono elencati in un bel libro di due grandi specialisti come Giovanni Azzone e Francesco Caio, “In un mare di dati. Quali dati per le politiche, quali politiche per i dati” (Mondadori Università, 2020), in cui i due autori hanno elencato sistematicamente tutte le applicazioni e l’impatto della digitalizzazione, all’economia e all’occupazione, sulla qualità della vita (salute, nutrizione, edifici, mobilità), sulla politica e i servizi pubblici.

  

Ma che cosa cede in contraccambio? I gestori delle piattaforme prendono – senza che lui ne sia a conoscenza – aspetti della sua identità, preferenze, inclinazioni, interessi, conoscenze. Lo profilano, nel senso che ne tracciano e conservano il profilo. Possono, quindi, grazie a questo, influenzarlo, perché conoscono tanti lati della sua persona. Ad esempio, possono fargli arrivare messaggi mirati a orientarlo a votare per un partito o indurlo a comprare un libro. Possono “impacchettare” queste informazioni e venderle.

Ma non bisogna solo valutare le utilità che vengono “estratte” dall’uso che l’utente della rete fa, bensì anche quelle che la rete gli offre, per poter valutare il bilanciamento tra quel che gli viene sottratto e quel che gli viene dato.

  

Ma se l’utilità maggiore che gli viene offerta è quella costituita dall’informazione, va considerato quel che Ferruccio de Bortoli osserva nel suo recente libro in collaborazione con Salvatore Rossi (F. de Bortoli S. Rossi, “La ragione e il buonsenso. Conversazione patriottica sull’Italia”, Bologna, il Mulino, 2020, p. 143): la massa di informazioni non ha un “editor”: “Se ci fosse, leggeremmo meno sciocchezze”.

Ammettiamo che il rapporto sia squilibrato, e che il gestore di piattaforma sottragga all’utente più utilità di quelle che gli offre. Che sia un padrone che sfrutta il lavoratore. Non basterebbe, per ristabilire un equilibrio, ricorrere a ciò che viene proposto nella campagna elettorale americana, un “break up” delle Big Tech, dare accesso ad altri soggetti, controllare le fusioni, separare “platform,” da “participant on that platform”, costringere il gestore di piattaforma a far sapere a ciascun interessato le informazioni che raccoglie su di lui?

Di più su questi argomenti: