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Al ministro Costa che festeggia per ragioni ambientali la decrescita causata dal coronavirus suggeriamo il silenzio: è d’oro e non emette CO2

Carlo Stagnaro
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Q uelle foto della Nasa sulla Cina sono la dimostrazione che si può ridurre l’inquinamento”, ha detto il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. “Non dovevamo aspettare il coronavirus per saperlo, ma in questo senso cogliamo quella foto come elemento che ci fa capire che si può fare e le risorse ci sono”. Gli ha fatto eco, con termini più cauti, il deputato M5s Alberto Zolezzi, di professione medico ospedaliero, che prima ha correttamente sottolineato come l’inquinamento dell’aria sia un fattore di rischio che può complicare gli effetti di patologie come il coronavirus, e poi ha concluso che il crollo della produzione industriale nella provincia di Hubei “può rafforzare il fisico e consentirgli di affrontare meglio le emergenze”.

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Q uelle foto della Nasa sulla Cina sono la dimostrazione che si può ridurre l’inquinamento”, ha detto il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa. “Non dovevamo aspettare il coronavirus per saperlo, ma in questo senso cogliamo quella foto come elemento che ci fa capire che si può fare e le risorse ci sono”. Gli ha fatto eco, con termini più cauti, il deputato M5s Alberto Zolezzi, di professione medico ospedaliero, che prima ha correttamente sottolineato come l’inquinamento dell’aria sia un fattore di rischio che può complicare gli effetti di patologie come il coronavirus, e poi ha concluso che il crollo della produzione industriale nella provincia di Hubei “può rafforzare il fisico e consentirgli di affrontare meglio le emergenze”.

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Le parole sono importanti e, in casi come questo, anche pericolose. Danno la sensazione che l’unico modo per abbattere le emissioni sia attraverso la riduzione del pil, meglio se associata al calo della popolazione. Certamente, questa è una strategia: nel mese di febbraio, i cinesi hanno respirato un’aria più pulita. Si stima che le emissioni di CO2 siano scese di 100 milioni di tonnellate, circa un quarto di quante ne produce l’Italia in un anno. A quale prezzo, però? In Cina si contano oggi oltre 80 mila infetti e quasi 3 mila morti. La produzione industriale è crollata tra il 15 e il 40 per cento secondo i settori, contribuendo a bruciare almeno mezzo punto di crescita del pil. Un paese più povero non solo ha meno strumenti per contrastare emergenze sanitarie come quella in corso, ma – a lungo andare – mancherà delle risorse per sviluppare tecnologie più pulite ed efficienti a salvaguardia dell’ambiente.

Per scoprire che le recessioni (quali che ne siano le cause) comportano un abbattimento delle emissioni, non serviva del resto arrivare sull’orlo di una pandemia. Per esempio, l’Italia nel 2009 e nel 2012 ha perso, rispettivamente, il 5,5 e il 2,8 per cento del pil: negli stessi anni le emissioni si sono ridotte del 9,4 e del 4 per cento. L’impoverimento generalizzato della popolazione, pur essendo uno strumento efficace per ridurre gli impatti ambientali (almeno nel breve termine) non è certamente desiderabile. La sfida è, semmai, coniugare crescita e sostenibilità. E’ quello che stanno facendo, in modo diverso, l’Unione europea e gli Stati Uniti: tra il 2000 e il 2017, le rispettive emissioni sono scese del 15,9 e del 12,1 per cento. Negli Stati Uniti grazie soprattutto alla rivoluzione dello shale gas, mentre in Ue attraverso la liberalizzazione dei mercati dell’energia (che ha favorito l’adozione del gas) e gli ingenti sussidi alle fonti rinnovabili. In entrambi i casi, negli anni di rallentamento dell’economia, anche le emissioni sono scese, ma nessuno lo ha considerato né un successo né la prova che “se ci impegniamo possiamo farcela”: anzi, seppure in un contesto diverso, in entrambi i casi si è cercato di stimolare la crescita nel rispetto dell’ambiente (e non l’uno a dispetto dell’altra). La tesi per cui le recessioni sarebbero da accogliere a braccia aperte è rimasta patrimonio di frange estremiste e isolate.

Solo in Italia accade che il ministro dell’Ambiente festeggi una recessione innescata da un’epidemia. D’altronde, questo afflato decrescitista è coerente con la “blue economy” di Gunter Pauli, il nuovo super-consigliere di Giuseppe Conte per l’emergenza coronavirus, e più in generale con la Weltanschauung del M5s e, sempre più, anche del Partito democratico. Se le cose stanno così – cioè se la riduzione delle emissioni è il cavallo di Troia della decrescita – allora non si può dire che l’Italia non rappresenti un caso di successo. Per parafrasare Costa, la nostra stessa esperienza “ci fa capire che si può fare e le risorse ci sono”. Ci fa anche capire che, specie durante un’emergenza che minaccia il pil non meno della salute pubblica, il silenzio è d’oro. E non emette CO2.

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