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Rieducazione verde

Fabio Massa
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Prendendo in prestito Venditti dalla sua Roma, ché certe cose sono purtroppo universali, si potrebbe dire che anche in politica ci sono provvedimenti che, come gli amori, non finiscono. Fanno dei giri immensi e poi ritornano. L’altro giorno Beppe Sala, sindaco di Milano nell’anno 2020, ha testualmente detto: “Milanesi e turisti si preparino a trascorrere una giornata in città a piedi, in bici, sui mezzi pubblici ed elettrici”. Non per piacere, non per festeggiare gli scampati Giorni della merla, ma perché l'emergenza smog è tale che – secondo il sindaco di Milano – qualcosa si deve pur fare: “Le condizioni attuali mi inducono a intervenire in modo contingente”. Contingente ma non innovativo, considerato che il blocco del traffico si applica dal 1981. E che non è mai servito praticamente a niente, se non a evitare che qualche pm decida poi di indagare, come avvenne incredibilmente con Roberto Formigoni, Letizia Moratti e con il compianto Filippo Penati: Regione, Comune, e Provincia di Milano. Ci sono alcune questioni di fondo che però fanno da sottinteso al blocco del traffico deciso da Beppe Sala. Una di queste è la puramente politica. Sala ha spiegato di voler essere l’alfiere dall’ambientalismo. Intendiamoci, non è un credo di facciata per lui: il primo cittadino avverte cogente e diretta la necessità di fare qualcosa. E’ davvero convinto che il climate change, soprattutto per un posto come Milano, nel quale solo la pioggia risolve davvero (momentaneamente of course) il problema delle polveri sottili, sia una battaglia da combattere senza incertezze. Ma il climate change ha anche una motivazione politica: l’eliminazione da parte del sindaco di Milano dell’ambientalismo del no e dei nimby (not in my backyard) a favore di un ambientalismo alla meneghina. Pratico e concreto. I Verdi, che hanno provato a ingaggiare battaglia per riprendersi la mattonella, per adesso sono stati ampiamente sconfitti. Beppe Sala ha la necessità poi di dare un segnale che qualcosa si sta facendo, quando è palese che qualunque cosa si faccia, sul breve periodo, è inutile. Infine, soddisfa una parte della sinistra – anche interna al Partito democratico – che sostiene che si debba costruire una coscienza ecologista (per dirla edulcorata). O che, per dirla brutale, il popolo vada (ri)educato. Ed è su questo punto che il sindaco di Milano rischia di fare un salto indietro ai primi anni di Giuliano Pisapia. Anche lui aveva iniziato pensando di educare i milanesi. Risultati dal punto di vista ambientale pari a zero. Però l’obiettivo non era ovviamente quello, era altro. Pisapia le denominò “Domeniche a spasso”. Ingaggiò una polemica addirittura con Fabio Fazio – il che è quanto di più difficile si possa fare nell’orbe terraqueo. Disse che con le Domeniche a spasso la città era “più felice”. Poi, visto che costavano 250 mila euro ogni domenica e probabilmente anche di più, tra potenziamento dei mezzi pubblici, biglietti, eventi eccetera, le abolì. Quel costo venne pagato da tutti e quei disagi furono assorbiti – e qui c’è l’errore di Beppe Sala oggi e di Giuliano Pisapia ieri – principalmente dai quartieri popolari, quelli più periferici. Che per loro natura sono peggio collegati tra loro e con il centro cittadino, dove ci sono i negozi. Dunque, riassumendo: zero resa per l’ambiente, disagi per le periferia, costo per tutti. Ma con dei sottintesi politici. Ce ne è abbastanza per indurre a una riflessione.

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Prendendo in prestito Venditti dalla sua Roma, ché certe cose sono purtroppo universali, si potrebbe dire che anche in politica ci sono provvedimenti che, come gli amori, non finiscono. Fanno dei giri immensi e poi ritornano. L’altro giorno Beppe Sala, sindaco di Milano nell’anno 2020, ha testualmente detto: “Milanesi e turisti si preparino a trascorrere una giornata in città a piedi, in bici, sui mezzi pubblici ed elettrici”. Non per piacere, non per festeggiare gli scampati Giorni della merla, ma perché l'emergenza smog è tale che – secondo il sindaco di Milano – qualcosa si deve pur fare: “Le condizioni attuali mi inducono a intervenire in modo contingente”. Contingente ma non innovativo, considerato che il blocco del traffico si applica dal 1981. E che non è mai servito praticamente a niente, se non a evitare che qualche pm decida poi di indagare, come avvenne incredibilmente con Roberto Formigoni, Letizia Moratti e con il compianto Filippo Penati: Regione, Comune, e Provincia di Milano. Ci sono alcune questioni di fondo che però fanno da sottinteso al blocco del traffico deciso da Beppe Sala. Una di queste è la puramente politica. Sala ha spiegato di voler essere l’alfiere dall’ambientalismo. Intendiamoci, non è un credo di facciata per lui: il primo cittadino avverte cogente e diretta la necessità di fare qualcosa. E’ davvero convinto che il climate change, soprattutto per un posto come Milano, nel quale solo la pioggia risolve davvero (momentaneamente of course) il problema delle polveri sottili, sia una battaglia da combattere senza incertezze. Ma il climate change ha anche una motivazione politica: l’eliminazione da parte del sindaco di Milano dell’ambientalismo del no e dei nimby (not in my backyard) a favore di un ambientalismo alla meneghina. Pratico e concreto. I Verdi, che hanno provato a ingaggiare battaglia per riprendersi la mattonella, per adesso sono stati ampiamente sconfitti. Beppe Sala ha la necessità poi di dare un segnale che qualcosa si sta facendo, quando è palese che qualunque cosa si faccia, sul breve periodo, è inutile. Infine, soddisfa una parte della sinistra – anche interna al Partito democratico – che sostiene che si debba costruire una coscienza ecologista (per dirla edulcorata). O che, per dirla brutale, il popolo vada (ri)educato. Ed è su questo punto che il sindaco di Milano rischia di fare un salto indietro ai primi anni di Giuliano Pisapia. Anche lui aveva iniziato pensando di educare i milanesi. Risultati dal punto di vista ambientale pari a zero. Però l’obiettivo non era ovviamente quello, era altro. Pisapia le denominò “Domeniche a spasso”. Ingaggiò una polemica addirittura con Fabio Fazio – il che è quanto di più difficile si possa fare nell’orbe terraqueo. Disse che con le Domeniche a spasso la città era “più felice”. Poi, visto che costavano 250 mila euro ogni domenica e probabilmente anche di più, tra potenziamento dei mezzi pubblici, biglietti, eventi eccetera, le abolì. Quel costo venne pagato da tutti e quei disagi furono assorbiti – e qui c’è l’errore di Beppe Sala oggi e di Giuliano Pisapia ieri – principalmente dai quartieri popolari, quelli più periferici. Che per loro natura sono peggio collegati tra loro e con il centro cittadino, dove ci sono i negozi. Dunque, riassumendo: zero resa per l’ambiente, disagi per le periferia, costo per tutti. Ma con dei sottintesi politici. Ce ne è abbastanza per indurre a una riflessione.

Che non può portare però alle conclusioni della Regione Lombardia, opposta al Comune da questo punto di vista, con l’assessore all’Ambiente e Clima, Raffaele Cattaneo che spara a zero sul Comune, ma le polveri sottili non sono solo un problema di Milano. Alla fine le parole più sagge sono quelle di Mario Delpini. L’arcivescovo è intervenuto martedì in Consiglio regionale: “Forse una certa enfasi sulla città, un certo ossessivo convergere di risorse, di attenzioni mediatiche, di rivendicazioni di eccellenze finiscono per essere un danno per la stessa città di Milano e per il territorio regionale più che un prestigio promettente”. Una situazione che fa il paio con un ente grande assente, assassinato dal Delrio anni fa: la Città metropolitana, che dovrebbe fare da regia, da collante, tra i vari territori e i vari comuni.

Fabio Massa

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