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I profeti dell’America First prevedono guai domestici per il presidente “jacksoniano”

Mattia Ferraresi
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I forgotten men del Midwest – è il ragionamento – non hanno votato Trump per vedere l’America impelagarsi in nuovi conflitti, allargando il raggio d’azione di una superpotenza già fin troppo coinvolta negli affari altrui, ma per sanare le piaghe all’interno dei confini nazionali. Il riorientamento dell’America in senso nazionalista era uno dei cardini della confusa ideologia trumpiana, e il gruppo dei repubblicani delusi dice ora che il tradimento si è consumato in modo irreparabile. Come ha scritto il Wall Street Journal in un editoriale che invece esalta la decisione della Casa Bianca, i consiglieri isolazionisti ora cercheranno di convincere il presidente a lavarsi le mani delle conseguenze dell’attacco, ma “nel mondo post-Suleimani questo non è possibile”.

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I forgotten men del Midwest – è il ragionamento – non hanno votato Trump per vedere l’America impelagarsi in nuovi conflitti, allargando il raggio d’azione di una superpotenza già fin troppo coinvolta negli affari altrui, ma per sanare le piaghe all’interno dei confini nazionali. Il riorientamento dell’America in senso nazionalista era uno dei cardini della confusa ideologia trumpiana, e il gruppo dei repubblicani delusi dice ora che il tradimento si è consumato in modo irreparabile. Come ha scritto il Wall Street Journal in un editoriale che invece esalta la decisione della Casa Bianca, i consiglieri isolazionisti ora cercheranno di convincere il presidente a lavarsi le mani delle conseguenze dell’attacco, ma “nel mondo post-Suleimani questo non è possibile”.

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Il lamento dei nazionalisti apre così la questione delle ricadute domestiche dell’azione trumpiana, fatto non secondario per un presidente con una procedura d’impeachment che gli pende sulla testa e che si appresta ad affrontare una durissima campagna elettorale. Nell’immediato l’eliminazione di Suleimani ha distolto l’attenzione dall’impeachment, il che non è poco per un leader che valuta tutto in termini di audience ed esposizione mediatica. Ma in vista delle elezioni di novembre è lecito domandarsi che effetto avrà sull’elettorato più fedele un’azione che riporta il presidente – per scelta strategica consapevole o per impulso istintivo – nell’alveo della tanto vituperata logica internazionalista. Ross Douthat, uno degli opinionisti conservatori del New York Times, ha posto la stessa questione in termini più sofisticati: l’atteggiamento di Trump nelle relazioni internazionali, ha spiegato, è “jacksoniano”, risponde cioè a una forma di nazionalismo combattivo che teme il coinvolgimento internazionale ma è pronta a usare la forza per reagire alle minacce. E’ questo, secondo Douthat, l’atteggiamento che “molti americani, specialmente i bianchi delle zone rurali e della working class, hanno sempre prediletto”. Il problema è che nel contesto geopolitico attuale questa postura tattica non s’accorda particolarmente bene con l’obiettivo dichiarato di tirarsi fuori dai conflitti in giro per il mondo, promessa fatta a un elettorato che avrà anche istinti jacksoniani, ma rumoreggia, per bocca dei suoi interpreti pubblici, quando questi si manifestano con decisioni le cui conseguenze sfuggono al controllo.

Mattia Ferraresi

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