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Un Foglio internazionale

Le centrali nucleari, un’altra questione fondamentale della guerra in Ucraina

Il loro utilizzo come strumento d’intimidazione da parte di Putin mette in luce la debolezza delle convenzioni internazionali sull’atomo,
scrive Le Monde

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Vladimir Putin ha una grande maestria nel giocare con la paura che suscita il nucleare, civile e militare. Il presidente russo ha reiterato le sue minacce di utilizzo dell’arma atomica mercoledì 21 settembre, tre giorni dopo una scarica di missili in prossimità dei reattori della centrale di Pivdennoukrainsk (sud dell’Ucraina). Aveva già fatto della centrale di Zaporizhzhia, la più potente d’Europa (6 mila megawatt), occupata dall’inizio del conflitto dal suo esercito, uno strumento di intimidazione nei confronti degli occidentali. Per la prima volta dallo sviluppo su larga scala delle applicazioni civili dell’atomo, negli anni Cinquanta, dei siti nucleari si ritrovano al centro di un conflitto armato. Una nuova Cernobyl è improbabile, poiché il serbatoio dove si produce la reazione atomica ha una migliore protezione; ma la fusione del nocciolo nucleare è possibile in caso di sospensione prolungata dell’alimentazione elettrica e di un blocco dei circuiti di raffreddamento. A Zaporizhzhia, la situazione è stata definita “insostenibile” dal direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea), lo scorso 6 settembre. Rafael Grossi reclama una “zona di protezione” attorno al sito, ritenendo che “qualcosa di veramente, veramente catastrofico potrebbe prodursi”. Senza successo fino a oggi. Chi può decidere una tale santuarizzazione se non il capo del Cremlino? Gli industriali, gli operatori delle centrali e le autorità per la sicurezza nucleare cooperano in tutto il mondo, ma non esiste una governance mondiale degna di questo nome. L’Aiea controlla e fa delle raccomandazioni senza avere i mezzi per imporle. Ne riferisce al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che a sua volta non ha i mezzi per imporle, perché la Russia è uno dei cinque membri permanenti e ha il diritto di veto. 


“La sicurezza nucleare ha fatto degli enormi passi avanti dagli incidenti di Cernobyl e di Fukushima”, ha constatato Rafael Grossi in un’intervista al Monde, lo scorso agosto. “Ma nel pieno di una guerra, non è mai assoluta”. Nessuno si era preparato al fatto che una centrale “si ritrovasse nel mezzo di un grande scontro di tipo convenzionale”. Eppure, i difensori del diritto internazionale umanitario avevano previsto questa minaccia molto tempo fa. La convenzione di Ginevra del 1949 sulla protezione dei civili, adattata nel corso degli anni, proscrive i comportamenti rimproverati a Mosca. “Le dighe di protezione o di ritenuta e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, non saranno oggetto di attacchi”, prevede l’articolo 56 del protocollo aggiuntivo I del 1977, “anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile” (…). La minaccia che pesa sui grandi impianti nucleari in una guerra convenzionale è stata oggetto di meno valutazioni di un atto terroristico, paura risvegliata dagli attentati dell’11 settembre 2001. In Francia, una polemica aveva opposto gli anti-nucleare a Edf e Areva in occasione del lancio del cantiere del reattore Epr di Flamanville (Manche). E numerosi esponenti ecologisti hanno ancora dubbi, oggi, sulla capacità di resistenza del doppio edificio di contenimento dei reattori allo schianto di un aereo lanciato a tutta velocità. Senza stilare una cartografia allarmistica, esistono dei potenziali punti caldi al di fuori dell’Europa. Nella polveriera del medio oriente, Iran, Israele e Abu Dhabi sfruttano ognuno una centrale atomica (…). 


Da diversi decenni, la Croix-Rouge e alcuni giuristi manifestano la loro inquietudine per il carattere insufficiente della convenzione di Ginevra. Un tempo presidente dell’Associazione internazionale del diritto nucleare, l’ungherese Vanda Lamm difendeva una “protezione assoluta, in qualsiasi circostanza” dell’insieme degli impianti nucleari civili. Gli Stati Uniti si opposero per i reattori di ricerca, volendo lasciare aperta l’opzione di colpire gli impianti sospettati di essere utilizzati a fini militari. Il conflitto ucraino mostra che solo i belligeranti possono decidere di santuarizzare un sito nucleare. Ma è pensabile che Vladimir Putin voglia farlo, visto che da sette mesi gioca con i nervi degli occidentali? Diversi missili, lo scorso 14 settembre, hanno colpito una diga, fatto che ha provocato la piena del fiume Inhoulets e privato gli abitanti di corrente e acqua potabile in questa regione del centro dell’Ucraina. Una violazione, tra le altre, della convenzione di Ginevra. 

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