Un Foglio internazionale

Nelle università è sorta una nuova figura di dissidente

La parola magica negli atenei britannici oggi è “diversità”. Ne siamo pieni, tranne che per la diversità di pensiero, scrive lo Spectator

I presidenti della Royal Historical Society e della Historical Association erano tra i firmatari di una lettera aperta intitolata ‘La Storia non deve essere politicizzata’”. Così inizia l’articolo dell’ex docente David Abulafia sullo Spectator. “Erano indignati dalla possibilità che il governo tagliasse i fondi destinati al Colonial Countryside project, che osserva i legami tra l’Impero britannico, il commercio degli schiavi e i beni dell’ente che tutela il patrimonio storico. Senza cogliere il loro pregiudizio politico, i firmatari hanno accusato il governo di ‘politicizzare’ la Storia. Questa straordinaria fiducia in se stessi riflette ciò che sta avvenendo nelle università britanniche, anche tra gli storici. La marginalizzazione dei conservatori non è una novità, però sta peggiorando”.

 

Abulafia racconta che da studente era un ragazzo di sinistra che però non amava le teorie marxiste che erano molto popolari tra i suoi coetanei. In quegli anni, il futuro storico ha imparato a essere un dissidente sui generis – lui dissentiva dalle idee dei sedicenti dissidenti della società capitalista borghese. La grande storica economica Munia Postan diceva che i capitalisti esistevano anche nelle città sumere nell’Iraq di quattro mila anni fa. Oggi la lezione è che il capitalismo è ed è sempre stato un sistema “razziale”. Al giorno d’oggi, viene spesso usata la parola “falsa coscienza”, un concetto popolare ai tempi dell’Unione sovietica, che permette di presentare gli oppositori del commercio degli schiavi secoli fa come i suoi perpetratori indiretti. Come ci avrebbero detto Enver Hoxha o Mao, la risposta al problema della falsa coscienza è la rieducazione. La parola magica nelle università è “diversità”, scrive Abulafia.

 

“E’ sicuramente giusto nominare dei comitati universitari che rappresentano esperienze eterogenee, che includono uomini e donne, e persone provenienti da diverse etnie. Ha senso insegnare non solo la storia dell’Inghilterra, o non solo la storia dell’Inghilterra del Novecento. Ma essere globali nello studio del passato significa imparare la storia degli altri imperi, altri sistemi crudeli di lavoro forzato, altri tipi di discriminazioni razziali e sociali, senza la moralizzazione continua che è tipica degli storici del giorno d’oggi (…) Significa immedesimarsi nella realtà degli anni passati, in cui le persone avevano dei valori e delle assunzioni molto diverse rispetto a oggi. Non ci viene chiesto di riadottare queste assunzioni, ma di capire come sono state sviluppate. La diversità nelle università significa anche qualcos’altro. Praticare la ‘diversità’ escludendo coloro che sono abbastanza diversi da non condividere le idee progressiste degli altri non è meglio che escludere le persone perché sono gay o appartengono a un altro gruppo religioso, o non sono socialmente ed etnicamente conformi alla maggioranza. I veri dissidenti nelle università devono recuperare il loro posto al tavolo dei diversi”.

 

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