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Un Foglio Internazionale

Un mondo che si lascia andare

Il filosofo francese Pierre Manent sulla grande paura di morire al tempo del Covid e l’incondizionata apertura all’Altro. Abbiamo sempre meno ragioni per resistere

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Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì

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La crisi del Covid-19 e la gestione della pandemia da parte del governo hanno sollevato numerose questioni sulle violazioni delle libertà. Anche la reazione relativamente passiva della società civile francese pone una questione. Il filosofo ed ex direttore dell’École des hautes études en sciences sociales Pierre Manent riflette su questi temi in occasione di un’intervista ad Atlantico. Ulysse Manhes – Le “violazioni delle libertà”, motivate da una crisi sanitaria e applicate da un governo che naviga a vista, sono identiche alle violazioni delle libertà operate dai regimi totalitari? Pierre Manent – No. Né identiche, né paragonabili.

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Un regime totalitario si fonda su un partito unico e su un’ideologia imposta col terrore. Dov’è il partito unico? Dov’è il terrore in Francia? In compenso, è vero che, senza terrore ma non senza intolleranza, un’ideologia di stato si è imposta a tutti, governanti e governati, con l’inseparabile disciplina di parola. Secondo questa ideologia, le sole regole legittime sono quelle che si rivolgono all’uomo in generale; le giurisdizioni che amministrano queste regole non accettano responsabilità davanti alla comunità dei cittadini poiché sostengono di dover rendere conto unicamente all’“umanità senza frontiere”. La democrazia, come governo della nazione – la nostra cosa comune – non solo è stata delegittimata, ma in un certo senso criminalizzata.

 

La nostra vita di cittadini è dunque esangue. Ciò che colpisce in questa crisi sanitaria, è l’incapacità del governo di fare altro al di fuori di imporre un’immobilizzazione generale con l’aiuto dei prefetti e dei gendarmi. Le difficoltà sono sicuramente gravi, tuttavia, a eccezione degli sforzi degli ospedali, si può forse citare una sola misura che indichi un minimo di iniziativa o di audacia da parte del governo o del corpo sociale? Di quale “azione comune” ci ricorderemo? Ad ogni modo, soffriremo per molto tempo a causa di questa passività imposta. Cosa pensa della reazione relativamente passiva della società civile francese dinanzi alle restrizioni della libertà a fini sanitari, la cui efficacia non sembra a oggi totalmente confermata? Vedo due spiegazioni.

 

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Da una parte, poiché solo i diritti strettamente individuali sono considerati oggi legittimi, tutti i motivi alla base di azioni sociali, di azioni comuni, sono sospettati di illegittimità. Basti pensare che tra le deroghe delle autocertificazioni non è ancora inclusa la visita di un luogo di culto tra i motivi legittimi! In nome di un’interpretazione sempre più estensiva della laicità, la nostra società ha escluso la religione dai motivi legittimi di azione collettiva a tal punto che si limita a relegarla ai margini o in una sorta di clandestinità appena tollerata. In fin dei conti, l’unico motivo considerato legittimo di azioni umane, perché è l’unico incontestabile, è la paura di morire. Non c’è limite alla tirannia che può legittimarsi attraverso la protezione della vita di ognuno.

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Dall’altra, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si è imposta una sorta di inversione del progetto collettivo. Invece di trovare i nostri motivi all’interno di noi stessi, in ciò che siamo e vogliamo essere e fare, abbiamo voluto cercare i nostri motivi nel “mondo”. Abbiamo cominciato un processo di svuotamento, misurando ormai la nostra virtù sulla base della nostra capacità di accogliere i movimenti del mondo, ossia fondamentalmente a lasciarci andare. Dietro il nome accattivante di apertura all’Altro, ci siamo privati di qualsiasi diritto di agire per noi e attraverso di noi.

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Secondo lei, gli stati liberali che finanziano la crisi attraverso il debito si ritroveranno più fragili dei regimi totalitari (per esempio la Cina) che sostengono l’economia attraverso lo stato? Sostenere l’economia attraverso lo stato è quello che sta facendo il governo francese, mi sembra, così come fanno, del resto, gli altri governi. Non so se sia un bene o un male. Ma ho la sensazione che se la situazione non è più critica, lo dobbiamo in larga misura all’operato intelligente del ministro dell’Economia (Bruno Le Maire, ndr). Sulla questione del debito, farò una riflessione sulla politica generale. Da quando la mia gloriosa generazione è salita sul palco del mondo, ci siamo stabiliti per delle grandi, eterne vacanze. Abbiamo deciso che gli strumenti economici, politici e militari dell’indipendenza nazionale erano inutili, allo stesso tempo ridicoli e immorali. Invece di rendere sicuro il nostro essere collettivo dinanzi alla pressione del mondo, abbiamo deciso di aprire senza riserve a questa pressione, di “lasciar passare” i flussi del bene, di capitali e di persone. Abbiamo compensato la diminuzione delle nostre capacità agricole e industriali con il finanziamento statale di una parte crescente della vita collettiva, con l’indebitamento, dunque. L

 

a Francia assomiglia a una “vecchia famiglia” che moltiplica gli espedienti per continuare a fare bella figura. Raymond Aron nei suoi colloqui confessava: “Ho smesso di essere socialista quando ho cominciato a studiare l’economia politica” (Lo spettatore impegnato). L’educazione ai meccanismi economici lo ha liberato dalle ingenuità utopistiche. In linea generale, il crescente complottismo non è forse legato a una mancanza di formazione dei cittadini e di alcuni intellettuali ai modi di funzionamento complessi delle società moderne? Possono mancare sia le competenze economiche sia le competenze politiche. Si pensi all’euro. I governanti francesi hanno caldeggiato ostinatamente la moneta comune per superare l’inferiorità strutturale della Francia rispetto alla Germania, ottenendo come unico risultato il consolidamento della superiorità economica tedesca in un’egemonia per così dire ufficiale, tanto più facile poiché il valore dell’euro è stato fissato a un livello tanto vantaggioso per la Germania quanto dannoso per noi. L’idea che un mercato unico e una moneta comune ci avrebbe portato all’unione politica è stato il peccato originale della classe politica.

 

In ogni caso, siamo oramai strettamente legati, e subordinati, a un paese con cui siamo in disaccordo sulla maggior parte delle questioni politiche. E’ una situazione insostenibile che proviamo in maniera vana a mascherare raccontando la favola della “coppia franco-tedesca motore dell’Europa”. Alla luce della crescente sfiducia nei confronti delle élite e dei dirigenti esiste una soluzione alternativa alla democrazia rappresentativa? Il sistema rappresentativo è il capolavoro della politica moderna. Quando ha trovato le sue istituzioni, ha prodotto l’ordine e il progresso. Oggi non sappiamo più molto bene dove sia l’ordine né cosa sia il progresso, ma non vedo un’altra prospettiva ragionevole se non quella di rianimare la repubblica rappresentativa. Ma lo potremo fare soltanto se riabiliteremo il quadro nazionale.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

 

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