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Un foglio internazionale

Il 3 novembre sarà la voglia di normalità degli americani a far trionfare Biden

Anche questa volta i sondaggi potrebbero aver sottovalutato Trump. Su Bloomberg il punto di vista di Niall Ferguson sulle elezioni presidenziali americane

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Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto settimanale a cura di Giulio Meotti con segnalazioni dalla stampa estera

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"Ciò di cui ha bisogno l’America – ha dichiarato il candidato – non sono gesti eroici ma una lenta guarigione; non alchimie ma normalità (...) L’America deve rallentare, rimettersi in piedi e assicurarsi di avere imboccato il giusto percorso. Dobbiamo uscire da questo delirio febbricitante”, scrive lo storico Niall Ferguson su Bloomberg. Il candidato a cui fa accenno era il repubblicano Warren G. Harding e la data era il 14 maggio 1920. Sei mesi dopo Harding conquistò oltre il 60 per cento del voto popolare e 404 collegi elettorali nella sfida contro il candidato democratico James M. Cox. Un ritorno alla normalità: è una prospettiva allettante anche oggi che siamo alle prese con una pandemia, reduci da uno shock economico e da quattro anni di caos politico. Un secolo fa gli americani avevano avuto l’influenza spagnola del 1918-1919, che uccise circa 675 mila persone (l’equivalente di 2,2 milioni al giorno di oggi) e la Prima guerra mondiale. I paralleli con le elezioni del prossimo novembre sono impressionanti. All’epoca della cosiddetta Paura rossa del 1919-20, il paese era stato vittima di scioperi, proteste e scontri razziali. Una recessione profonda aveva avuto inizio nel gennaio 1920 e la maggior parte degli americani bramavano per un po’ di normalità.

 

Niall Ferguson, che contro tutti i pronostici aveva previsto la vittoria di Donald Trump nel 2016, è convinto che il presidente uscente verrà sconfitto dal candidato democratico Joe Biden. “Storicamente i personaggi imprevedibili come Trump hanno sempre faticato a vincere le elezioni. La storia del populismo americano è segnata da vittorie sfiorate; questa è una delle ragioni per cui molti esperti credevano che anche Trump avrebbe sfiorato la vittoria quattro anni fa. Quando i populisti vengono eletti, non riescono a mantenere le promesse elettorali e spesso si rivelano più corrotti dei loro avversari. Il Sudamerica ha una grande esperienza da questo punto di vista. I populisti latinoamericani come Juan Perón in Argentina e Hugo Chávez in Venezuela vengono rieletti perché reprimono i loro avversari e, se necessario, cambiano la costituzione. Leggendo la stampa americana, penserete che qualcosa di simile sta per avvenire negli Stati Uniti. Molti commentatori sostengono che Trump ruberà l’elezione in un modo o nell’altro e che una vittoria di Biden potrebbe essere l’unico modo per salvare la repubblica da un’ondata di violenza e da una crisi costituzionale. Dimenticatevi Hitler e Mussolini, adesso Trump è Riccardo III. Bisogna dire che il presidente ha fatto di tutto per dare forza a questa narrazione. Anche i miei amici ex poliziotti Mike e Gerry – che hanno sostenuto Trump nel 2016 – credono che il loro uomo sia stato troppo aggressivo nel primo dibattito presidenziale.

 

Secondo Ferguson la Costituzione americana non è in crisi, anzi ha assolto magnificamente il suo compito. Ha vincolato il presidente durante il suo mandato, attraverso gli strumenti previsti, e il 3 novembre consentirà agli elettori di estrometterlo dalla Casa Bianca ed eleggere al suo posto il caro, vecchio, Joe Normale. Per Ferguson non c’è alcuna possibilità che vinca Donald Trump: la pessima gestione dell’emergenza Covid, e la recessione economica che ne è scaturita hanno vanificato le sue speranze di essere rieletto. I sondaggi rafforzano la sua tesi. Biden ha un vantaggio di sette punti sul presidente, un margine superiore a quello della Clinton nel 2016.

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Tuttavia, Ferguson pensa a nove ragioni per cui i sondaggi potrebbero avere sottovalutato Trump anche stavolta. Innanzitutto, l’11,7 per cento dei repubblicani non sono disposti ad ammettere le loro reali intenzioni di voto nei sondaggi telefonici. Secondo, il tema della legge e ordine – il cavallo di battaglia di Trump – è molto importante per gli elettori indecisi. Terzo, la ripresa della guerra culturale quest’estate è stata una manna per Trump dato che almeno cinque milioni di americani condividono il suo scetticismo nei confronti del movimento Black Lives Matter. Quarto, i post su Facebook che ricevono il maggior numero di condivisioni generalmente provengono da commentatori conservatori come Ben Shapiro. Quinto, la nomina di un nuovo giudice della Corta suprema è stata un altro colpo di fortuna per Trump e ha galvanizzato la base repubblicana. Sesto, gli elettori ispanici non sembrano entusiasti di Biden e molti di loro si asterranno. Settimo, un maggior numero di repubblicani si è iscritto al registro elettorale in stati chiave come la Pennsylvania e il Wisconsin. Ottavo, una buona parte dei voti postali solitamente vengono annullati a causa di errori: questo potrebbe beneficiare Trump dato che molti democratici votano per posta. Infine, non sottovalutate l’economia. La ripresa nel terzo trimestre prevista dalla Fed di Atlanta potrebbe beneficiare Trump. “Solitamente, se riesci a pensare a nove ragioni per cui un’ipotesi è sbagliata, significa che probabilmente è sbagliata – scrive Ferguson – Tuttavia, malgrado queste variabili, resto sempre convinto che Trump non sia in grado di recuperare lo svantaggio”.

 

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 Le nove ragioni elencate dallo storico hanno galvanizzato la base repubblicana ma difficilmente faranno cambiare idea agli elettori indecisi negli swing states. Le probabilità che si ripeta ciò che è successo nel 2016, quando i voti di meno di 40 mila elettori hanno fatto vincere Trump in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, è semplicemente troppo bassa. “L’ironia è che se un successo di Biden venisse accompagnato da una vittoria dei democratici al Senato, i repubblicani potrebbero lamentarsi che ‘la repubblica è sotto attacco’ – conclude Ferguson – A quel punto la nomina di giudici filo democratici, il superamento dell’ostruzionismo al Senato e l’introduzione di nuovi stati come District Columbia e Porto Rico (che cambierebbero gli equilibri al Senato in senso democratico, ndt) sarebbero tutte idee fattibili. Ma questo è il problema quando si vota per la normalità. Ricordatevi, gli americani fecero proprio questo cento anni fa. Ma si ritrovarono con i ruggenti anni Venti, seguiti dalla Grande depressione e dalla Seconda guerra mondiale”.

 

(Traduzione di Gregorio Sorgi)

 

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