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Un foglio internazionale

Cosa unisce islamisti e guerrieri woke della giustizia. L’opinione di Ayaan Hirsi Ali

La purezza ideologica, la rettitudine, l’odio per il pluralismo e il dibattito, l’iconoclastia: confronto tra due ideologie estreme. L'articolo del Wall Street Journal 

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Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio internazionale, l'inserto a cura di Giulio Meotti con le segnalazioni dalla stampa estera in edicola ogni lunedì

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L’11 settembre ci sono stati molti eroi americani ma i più importanti sono stati i passeggeri e l’equipaggio del Volo 93”, scrive Ayaan Hirsi Ali sul Wall Street Journal: “Non hanno solamente compromesso il piano di al Qaida – un attentato alla Casa Bianca – ma hanno anche reso omaggio al motto di Patrick Henry: ‘Dammi la libertà o dammi la morte’. Queste parole hanno ancora un senso nell’America del 2020? Per due decenni mi sono opposta al fanatismo illiberale che ha dato vita ad al Qaida. Ho rotto i rapporti con la mia famiglia somala e con la sua fede perché credo che sia la libertà umana a dovere essere sacrosanta, non una dottrina antiquata che pretende la sottomissione dell’individuo. I sostenitori della Shariah sono così implacabili che mi hanno ripetutamente minacciato di morte. Tuttavia, mi sono sempre consolata del fatto che negli Stati Uniti la libertà di espressione e di coscienza è più importante di qualsiasi credo religioso. Questo è stato uno dei motivi per cui mi sono trasferita qui e ho ottenuto la cittadinanza nel 2013. Non ho mai creduto che la libertà di stampa potesse essere minacciata nel mio nuovo paese.

 

Quando mi sono imbattuta per la prima volta in ciò che sarebbe diventata la cancel culture – nel 2014 sono stata nominata per una laurea honoris causa all’Università di Brandeis ma poi il titolo mi è stato revocato – non mi sono preoccupata più di tanto. All’epoca pensavo che l’alleanza tra la sinistra universitaria e gli islamisti non costituisse altro che una setta di lunatici. Ma il potere degli elementi illiberali della sinistra americana è cresciuto a dismisura, non solo nei campus ma anche nei media e in tante aziende. Hanno inculcato in una generazione di studenti un’ideologia che ha molto più in comune con la dottrina intollerante di un culto religioso che con il pensiero politico laico che ho studiato all’Università di Leiden in Olanda. Nei dibattiti dopo l’11 settembre molte persone hanno fornito delle spiegazioni materiali per gli attacchi. Sono finite sotto accusa la politica estera americana in medio oriente e la mancanza di istruzione e di opportunità lavorative nel mondo arabo. Ho sostenuto che nessuna di queste ipotesi potesse spiegare le ragioni dei terroristi, che in ogni caso venivano da famiglie molto privilegiate. Il loro obiettivo era religioso e politico: proclamare la jihad contro chiunque non volesse accettare un’interpretazione letterale dell’islam, rappresentare i governi arabi come corrotti e quelli occidentali come infedeli, e infine sovvertire lo status quo in medioriente e dare vita a un califfato.

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I politici americani hanno preferito la spiegazione materialista e hanno assunto delle azioni mirate a risolvere il problema: invasione, cambio di regime, democratizzazione. Era impopolare sostenere che i terroristi avessero delle incrollabili certezze ideologiche. Dopo diciannove anni ci troviamo di fronte a una dinamica simile, che però sta avvenendo all’interno dei nostri confini. Alcuni osservatori ingenui spiegano le proteste di quest’estate con riferimento agli svantaggi materiali degli afroamericani. Questo è un fenomeno reale così come lo sono i problemi socioeconomici (più gravi) del mondo arabo. Ma non sono questi i motivi principali delle proteste, che sembrano invece essere animate in gran parte da persone bianche benestanti. La loro ideologia porta diversi molti nomi: cancel culture, social justice, critical race theory, intersectionality. Per farla breve, la chiamerò wokeism. Non metto sullo stesso piano il wokeism e il fanatismo islamico. L’islamismo è una corrente militante di una fede antica. I suoi seguaci sanno ciò che Dio gli chiede di fare sulla Terra per ottenere una ricompensa nell’aldilà. Il wokeism è per molti versi un credo marxista: non offre alcuna prospettiva dopo la morte. Questa ideologia divide la società in una miriade di identità mentre gli islamisti compiono una distinzione più semplice: fedeli e infedeli, uomini e donne. Ci sono molte altre differenze. Ma considerate anche le affinità. I seguaci di ciascuna ideologia inseguono la purezza ideologica, certi della propria rettitudine.

 

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Né gli islamisti né i seguaci del wokeism accettano il dibattito, entrambi preferiscono indottrinare i sottomessi e zittire chiunque si oppone. A entrambi piace bruciare la bandiera americana. Gli islamisti inveiscono contro le ‘blasfemie’, il wokeism invece vuole bandire l’hate speech. Gli islamisti usano la parola ‘islamofobia’ per zittire i critici; il wokeism fa lo stesso con il razzismo. Gli islamisti detestano gli ebrei, i woke dicono di odiare Israele ma il loro antisemitismo è pervasivo. Entrambi sono iconoclasti e prendono di mira le statue. Queste due ideologie puntano ad abbattere i sistemi esistenti e sostituirli con delle utopie che si rivelano sempre di più delle anarchie infernali: lo stato islamico a Raqqa, la zona autonoma di Seattle. Entrambi amano il collettivismo: l’identità del gruppo scavalca l’individuo. Entrambi tollerano, e spesso idolatrano, la violenza dei fanatici. Quindi questo 11 settembre è ora di ignorare la favola sui presunti nemici della società aperta. I loro problemi non sono solamente economici e non verranno risolti da una maggiore occupazione o ricchezza. I loro motivi sono ideologici e si daranno pace solo quando avranno conquistato il potere. Mi aggrappo alla speranza che la maggior parte degli americani siano ancora disposti a combattere e, se necessario, morire affinché vengano preservate le nostre libertà, diritti, storia e tradizioni. Questo era lo spirito del Volo 93. Era lo spirito che ha sconfitto al Qaida e lo stato islamico. Ma non è lo spirito dei manifestanti “woke” del giorno d’oggi. Ed è ora di prenderne atto”.

 

(Traduzione di Gregorio Sorgi)

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